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Le soluzioni di tutela per le APP e per le piattaforme WEB possono essere diverse.

Qualora sia identificabile un cosiddetto “effetto tecnico” nel modo di operare integrato della APP su qualcosa di “fisico” (es. hardware) è possibile proteggere il software di sviluppo della APP o della piattaforma WEB mediante uno o più brevetti di invenzione. 

In assenza di un effetto tecnico, la tutela del software dell’APP o della piattaforma WEB è comunque possibile grazie alla legge sul Diritto d’Autore o ricorrendo ad altri tipi di “depositi IP”, come ad esempio la tutela ornamentale (design nuovo e individuale) sulla grafica di presentazione della piattaforma e dei suoi componenti (es. icone).

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Uno dei principali problemi per una startup è riuscire a generare fatturato sin dai primi anni di vita. Difatti, la tanto aspirata fase di go to market potrebbe avvenire non prima di 24 / 36 mesi, delegando di fatto l’intero sostentamento della startup ai sacrifici personali dei soci, ai contest con premi in denaro e ai tanto agognati round di investimento. Tuttavia, una startup potrebbe sin dalle prime fasi generare revenue monetizzando il proprio valore, spesso frutto di diversi anni e investimenti in ricerca e sviluppo. Ciò è potenzialmente realizzabile  grazie a una corretta strategia di licensing dei propri titoli di Proprietà Intellettuale (es. brevetto) che potrebbero essere licenziati per applicazioni in settori non core e nei confronti di aziende non competitor.

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Una startup, nonostante nel corso degli anni modificherà la propria offerta di prodotti e servizi, investe, sin dalla sua nascita, tempo e risorse per costruire la propria identità e reputazione nei confronti dei potenziali clienti, investitori e partners.

Perciò è indispensabile che una startup tuteli i propri investimenti registrando il prima possibile i propri marchi al fine di escludere altri dalla possibilità di utilizzarli o ancor peggio registrarli.

Inoltre, è opportuno ricordare che un marchio registrato può rappresentare per la startup un asset immateriale aziendale iscrivibile a bilancio e in alcuni casi un elemento strategico e imprescindibile per il funzionamento del business model (es. franchising).

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Gli asset intangibili, come la proprietà intellettuale, rappresentano circa il 90% del valore di una giovane azienda innovativa e tecnologica.  In una corretta e credibile strategia di gestione e valorizzazione della proprietà intellettuale un investitore ricerca e riconosce la capacità della startup di consolidare il proprio vantaggio competitivo, la probabilità di scongiurare prossime e future minacce (es. infrazioni e conseguenti cause legali, ecc.) e la possibilità di massimizzare il ritorno del capitale investito.

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Nei primi 2 / 3 anni di vita una startup investe buona parte delle proprie risorse, umane e finanziarie,  nello sviluppo di prodotti e servizi innovativi da immettere nel mercato. 

Ma una volta pronti, siamo certi che la nostra offerta non violi i diritti di proprietà intellettuale detenuti da terzi (marchi, brevetti, disegni, ecc.) in uno specifico Paese? E una eventuale violazione quanto mi costerebbe in termini economici e che impatto avrebbe nei confronti del  mio progetto aziendale?

Ecco perché  è sempre consigliabile condurre un’analisi di clearance per verificare la libertà di attuazione ed evitare eventuali violazioni dei diritti di tutela altrui. L’analisi viene eseguita basandosi su ricerche di anteriorità dei titoli di proprietà intellettuale a livello internazionale e basate su specifici argomenti. Una corretta analisi di clearance apporta alla startup un notevole vantaggio in termini di strategia di lancio sul mercato e rende il progetto più appetibile per un eventuale  round di finanziamento.

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Quante volte una startup nasce per caso dalla volontà e ambizione di un gruppo di “amici”?

Ognuno contribuisce alla creazione dell’azienda e della sua offerta, spesso nelle forme più disparate, spinto da uno spirito di spontanea condivisione e genuina collaborazione.

Ma è difficile trovare lo stesso spirito quando un progetto fallisce, i fondatori prendono strade diverse ed è necessario definire la titolarità di ciò che è stato realizzato e assegnarne i relativi diritti.

Dal punto di vista della proprietà intellettuale non vi è alcun rischio laddove i diritti vengano sempre intestati alla startup o i fondatori adottino, sin dalle prime luci della startup, un Founder’s Agreement che chiaramente regola titolarità, doveri, diritti e responsabilità  dei soci co-fondatori. 

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La normativa prevede che il diritto di sfruttamento economico di un’opera sviluppata sotto contratto di collaborazione sia riservato a nome del committente, in questo caso la startup. Tuttavia, è indispensabile adottare contratti di collaborazione nei quali venga correttamente e chiaramente indicato che qualsiasi diritto nato dallo sviluppo di una determinata opera è comunque sempre di proprietà della startup.  Un buon contratto dovrebbe, inoltre, regolare non solo la titolarità dei risultati sviluppati ma anche la gestione e la tutela di eventuali trasferimenti di know-how dal committente ai collaboratori.

E’ vivamente consigliabile adottare le necessarie accortezze in particolare nei casi, sempre più frequenti, di collaborazione di R&S tra startup e gruppi di ricerca esterni (es. laboratori universitari).

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Quasi tutte le startup adottano un business model fortemente orientato allo scaling up internazionale, soprattutto quando si desidera attirare l’interesse di potenziali investitori.

Tuttavia un’aspirazione internazionale difficilmente si coniuga con i limiti tipici di una giovane azienda: scarse risorse finanziarie e limitata capacità di penetrazione dei mercati.  Per tale  ragione, una startup dovrebbe prevedere una adeguata strategia di valorizzazione (es. licensing e franchising) dei propri titoli di proprietà intellettuale (es. brevetto e marchio) che sostenga e renda credibili le market entry strategies previste nel proprio business model.

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