Autore: Lisa Preti

Nel panorama dell’innovazione scientifica, la biotecnologia rappresenta uno dei campi più promettenti, ma anche uno dei più insidiosi dal punto di vista etico. L’evoluzione della scienza, che spinge i confini di ciò che è tecnicamente possibile, costringe le istituzioni a confrontarsi con dilemmi morali sempre più complessi. Al centro di questo dibattito c’è l’Ufficio Brevetti Europeo (EPO), che agisce sempre più spesso come una sorta di guardiano, chiamato a bilanciare la promozione dell’innovazione con il rispetto dei valori etici fondamentali. Una recente decisione dell’EPO, che ha rifiutato un brevetto per la creazione di chimere umano-suino, ha messo in luce la fragilità di questa linea etica, stabilendo un precedente che potrebbe definire il futuro della ricerca e della brevettabilità nel settore della vita.

La vicenda riguarda una domanda di brevetto presentata dall’Università del Minnesota nel 2016, focalizzata su un metodo per produrre una chimera integrando cellule staminali pluripotenti umane in embrioni di maiale. L’innovazione, che prevede l’utilizzo di una modifica genetica specifica nel maiale (la cancellazione del gene ETV2 responsabile della generazione di cellule staminali e vasi sanguigni), permetterebbe di generare un maiale provvisto di vasi sanguigni e cellule del sangue umani impiegabili per curare patologie umane. Allo stesso tempo, queste chimere potrebbero portare alla produzione di organi suini immunologicamente compatibili con l’uomo, un’applicazione che potrebbe rivoluzionare i trapianti e risolvere la drammatica carenza di donatori.

La Sezione d’Esame dell’EPO ha però sollevato importanti obiezioni etiche, portando al rifiuto del brevetto nel 2022. La decisione è stata poi confermata in appello nel settembre 2024. Il fulcro del problema risiede nell’Articolo 53(a) della Convenzione sul Brevetto Europeo (EPC), che esclude dalla brevettabilità le invenzioni considerate “contrarie all’ordine pubblico o alla moralità”. Questa clausola, che in Europa è normata anche dalla Direttiva 98/44/CE sulle invenzioni biotecnologiche, mira a fungere da salvaguardia etica. La questione cruciale, secondo la Commissione d’Appello dell’EPO, era che la richiesta di brevetto non escludeva in modo esplicito la possibilità che le cellule umane si integrassero nel cervello e/o nelle cellule germinali della chimera, rendendo la creazione non solo un ibrido fisico, ma di un organismo che potenzialmente potrebbe avere una coscienza umana o trasmettere geni umani. Questo scenario, giudicato una realistica possibilità e non solo una mera ipotesi, è stato visto come una violazione della dignità umana.

Il conflitto etico che è scaturito dal brevetto delle chimere uomo-maiale ha però più di un precedente.

La giurisprudenza dell’EPO in materia di brevettabilità degli esseri viventi è in continua evoluzione, e il bilanciamento tra scienza e moralità ha dato vita a casi molto diversi.

Uno dei precedenti più noti è il caso dell’“Oncomouse” del 1992. L’EPO, dopo un’iniziale opposizione, concesse il brevetto per un topo geneticamente modificato per la ricerca sul cancro. La motivazione fu una meticolosa “ponderazione tra la sofferenza degli animali e i possibili rischi per l’ambiente, da un lato, e l’utilità dell’invenzione per l’umanità, dall’altro”. L’EPO ritenne che la sofferenza dei pochi animali coinvolti fosse giustificata dal notevole potenziale beneficio per la ricerca sul cancro, che avrebbe salvato vite umane e ridotto il numero totale di esperimenti su altri animali. Questo caso ha gettato le basi per un’analisi etica che bilancia i benefici scientifici con il benessere animale.

In un altro caso del 2012, l’EPO esaminò un brevetto per un metodo di rilevamento di cellule tumorali in topi non transgenici. Ancora una volta, si dovette valutare se la sofferenza degli animali fosse giustificata. La decisione fu favorevole al brevetto, in quanto il metodo, pur causando sofferenza ai topi, permetteva di ridurre il numero complessivo di animali usati nella ricerca.

Ma il pendolo etico si è spostato con il caso di un brevetto del 2020 relativo a un preparato farmaceutico ottenuto da conigli che prevedeva di iniettare il virus del vaiolo nella pelle degli stessi per generare una risposta infiammatoria. La pelle poi poteva essere usata per produrre il preparato farmaceutico. Tuttavia, per ottenere una singola compressa, era necessario trattare (e in seguito sopprimere) un numero troppo elevato di animale (da 6 a 10). L’EPO, in questo caso, rifiutò il brevetto, stabilendo che “il beneficio per l’umanità non è tale da controbilanciare la sofferenza degli animali”.

La giurisprudenza ha quindi chiarito che la sofferenza animale, per essere accettabile, deve essere proporzionale a un beneficio medico significativo, un concetto che ha trovato un’applicazione più rigorosa rispetto al passato.

Oltre al concetto di benessere animale, la questione della brevettabilità si fa ancora più spinosa quando tocca la vita umana. Le cellule staminali sono un altro campo di battaglia etico. La giurisprudenza dell’EPO, in linea con le normative europee, stabilisce che le invenzioni che richiedono la distruzione di embrioni umani per scopi commerciali o industriali non sono brevettabili. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato questa posizione in una sentenza storica (C 34/10 del 18/11/2011), consolidando l’idea che la vita umana, anche nelle sue fasi iniziali, non può essere trattata come una merce.

Tuttavia, il quadro è più sfumato per altri tipi di cellule. Le cellule staminali pluripotenti, che non possono svilupparsi in un individuo completo, possono essere oggetto di brevetto, a patto che soddisfino i criteri di novità e applicazione industriale. Questa distinzione mostra come il diritto dei brevetti sia costretto a seguire i ritmi frenetici della ricerca, cercando di tracciare confini sempre più sottili.

La decisione sulle chimere umano-suino si inserisce in questo contesto, ma sposta l’attenzione da una singola cellula a un organismo ibrido. Il rifiuto del brevetto per violazione della dignità umana è un segnale forte: anche se un elemento isolato dal corpo umano può essere brevettato se prodotto con un processo tecnico, l’integrazione di elementi umani in un organismo animale solleva questioni di identità e proprietà che vanno ben oltre la semplice innovazione.

In un mondo in cui la biotecnologia promette di risolvere le più grandi sfide mediche, la decisione dell’EPO ci ricorda che non tutto ciò che è tecnicamente realizzabile è eticamente accettabile. La moralità e l’ordine pubblico, pur essendo concetti fluttuanti e aperti all’interpretazione, restano un argine necessario. L’EPO, con la sua decisione, non offre risposte definitive, ma pone un interrogativo fondamentale: in un’epoca di progresso illimitato, quali limiti siamo disposti a tracciare per proteggere ciò che definisce la nostra stessa umanità?