Autore: Fulvio Miraglia

Nel sempre più competitivo mercato della mobilità aerea elettrica (eVTOL), le startup stanno giocando un ruolo chiave nell’innovazione tecnologica, ma anche nel testare la solidità dei propri modelli di business. Due nomi emergono con forza in questo scenario: Lilium, pioniera tedesca dello sviluppo di jet elettrici a decollo verticale, e Archer Aviation, società statunitense quotata al NYSE e tra i principali player globali del settore.

Negli ultimi anni, entrambe hanno condiviso la stessa ambizione: rivoluzionare il trasporto urbano attraverso velivoli elettrici a zero emissioni. Tuttavia, i percorsi sono stati molto diversi. Mentre Archer prosegue nello sviluppo e nella certificazione del suo modello Midnight, Lilium ha incontrato difficoltà tecniche e finanziarie che ne hanno rallentato la corsa, fino a rendere inevitabile la dismissione di parte dei propri asset tecnologici.

In questo contesto si inserisce l’operazione annunciata di recente: Archer Aviation ha acquisito circa 300 brevetti da Lilium per un valore di 21 milioni di dollari. L’acquisizione ci offre uno spunto prezioso per riflettere sul ruolo strategico della proprietà intellettuale nell’ecosistema delle startup tecnologiche.

QUANDO I BREVETTI DIVENTANO L’ASSET PIÙ PREZIOSO

Lilium aveva raccolto oltre 1 miliardo di dollari in un decennio, ma non è riuscita a completare il percorso verso la certificazione e la produzione. Ciò che rimane di tangibile e immediatamente monetizzabile? Un portafoglio di 300 brevetti venduto per 21 milioni. Certo, rimangono anche altri asset: le competenze delle persone che hanno lavorato al progetto (molte già ricollocate nel settore), eventuali attrezzature e prototipi, forse qualche contratto. Ma l’IP è l’unico asset che mantiene valore liquido e trasferibile quando una venture fallisce, soprattutto in settori capital-intensive come l’aviazione elettrica. La sproporzione tra 1miliardo investito e 21 milioni recuperati ci dice molto: anche senza successo commerciale, un buon portafoglio brevettuale vale, da solo, una parte dell’investimento.

PERCHÉ ARCHER HA COMPRATO I BREVETTI LILIUM

L’operazione Archer è emblematica delle diverse finalità che motivano l’acquisto di grandi portafogli brevettuali:

1. Freedom to operate – Acquisire brevetti significa anche eliminare potenziali ostacoli futuri. Con oltre 1.000 asset brevettuali, Archer consolida la propria libertà operativa in un settore dove ogni componente è critico.

2. Accelerazione tecnologica – Perché reinventare la ruota? I brevetti Lilium su sistemi ducted fan, gestione batterie e controlli di volo rappresentano anni di R&D che Archer può ora integrare.

3. Posizionamento competitivo – In un mercato emergente come l’eVTOL, chi controlla l’IP di base ha un vantaggio negoziale significativo verso competitor e partner.

4. Valore difensivo – Un ampio portafoglio brevettuale è sia scudo che spada nelle inevitabili dispute che caratterizzano i settori tecnologici in rapida evoluzione.

LEZIONI PER STARTUP E INVESTITORI

Il caso Archer-Lilium offre spunti preziosi, soprattutto per chi opera nel mondo delle startup tecnologiche e per chi le finanzia.

Per i founder in ambito tecnologico:

• L’IP va costruito strategicamente fin dall’inizio, non come accessorio legale. Lilium lo ha fatto bene.

• Un grande portafoglio brevettuale non garantisce il successo commerciale, ma può preservare valore anche nel fallimento.

• La protezione IP richiede risorse significative: ogni brevetto costa, e mantenere centinaia di brevetti in più giurisdizioni è un impegno finanziario notevole, ma la liquidità futura dell’IP può fare la differenza

• L’IP ha un mercato secondario vivace, ma con regole precise: gli acquirenti cercano portafogli corposi e ben strutturati, non singoli brevetti isolati. Lilium ha venduto 300 brevetti in blocco, non a pezzi.

La lezione? L’IP va costruito come un ecosistema coerente, non come una collezione casuale.

Per gli investitori (specialmente in Italia):

 Qui il discorso si fa più delicato. Nel nostro Paese, troppo spesso l’IP viene ancora percepito come un costo legale da minimizzare piuttosto che come un asset strategico da valorizzare. È raro assistere a un pitch di una startup che dedica una slide alla strategia dell’IP. Ma d’altronde quasi nessuno (incubatori, investitori, mentor, ecc.) glielo chiede: perché dovrebbero farlo? Questa miopia ha conseguenze concrete. la mancata attenzione a questi aspetti può tradursi in una perdita concreta di valore nel lungo periodo

• Un solido portafoglio IP può rappresentare l’unica garanzia recuperabile in caso di difficoltà. I 21 milioni recuperati da Lilium sono meglio di zero.

• La valutazione pre-money dovrebbe riflettere l’IP esistente: una startup con brevetti solidi vale di più, punto.

• L’IP facilita exit e M&A: gli acquirenti corporate (come Archer) pagano per la proprietà intellettuale. Senza IP robusto, le opzioni di uscita si riducono drasticamente.

La realtà è che nel venture, soprattutto deep tech, l’IP ben costruito è la differenza tra un investimento che si azzera completamente e uno che preserva almeno parte del valore. È tempo che anche l’ecosistema italiano lo metabolizzi davvero.

UN MONITO PER L’ECOSISTEMA ITALIANO

Una riflessione finale. Nel settore deep tech, dove i cicli di sviluppo sono lunghi e i costi elevatissimi, l’IP rappresenta spesso l’unica garanzia tangibile per investitori e l’unico asset liquidabile in caso di difficoltà. La sfida per startup e advisor è trovare il giusto equilibrio: investire abbastanza in IP protection per creare valore difendibile, ma non così tanto da drenare le risorse necessarie per arrivare al momento in cui il loro prodotto trova il suo mercato naturale.

Il caso Archer-Lilium ci ricorda che, nel mondo delle startup tecnologiche, la proprietà intellettuale non è un costo legale, ma un asset strategico da gestire con la stessa attenzione dedicata al prodotto e al go-to-market. E per gli investitori italiani, fortunatamente pochi, che ancora considerano i brevetti “carta inutile”: quando arriverà il momento difficile (e nel venture arriva spesso), quella “carta inutile” potrebbe essere l’unica cosa che vale ancora qualcosa. Chiedetelo agli investitori di Lilium che hanno recuperato almeno quei 21 milioni anziché zero.