Quando un marchio ‘mette piede’ nel patrimonio culturale

Negli ultimi anni, il mondo della proprietà intellettuale si è trovato sempre più spesso a confrontarsi con un tema delicato: l’uso commerciale di elementi culturali indigeni. Il caso del marchio HOKA, noto brand internazionale di calzature sportive, riporta al centro dell’attenzione il fragile equilibrio tra strategie di branding e rispetto per le identità culturali delle comunità originarie.

Fondata in Francia e oggi di proprietà del gruppo statunitense Deckers Outdoor Corporation, l’azienda ha scelto per il suo nome una parola della lingua Māori: Hoka, abbreviazione di Hoka One One, traducibile come “vola sopra la terra”. Non a caso, il logo raffigura un uccello in volo e lo slogan aziendale recita: “Fly Human Fly”.

Inizialmente, l’origine Māori del nome era dichiarata apertamente. Ma dal 2012, con il passaggio alla proprietà statunitense, ogni riferimento culturale è scomparso dal sito e dai materiali promozionali. Una scelta che ha suscitato la reazione della comunità Māori.

Secondo i rappresentanti legali di alcune iwi (tribù), l’uso del termine senza consultazione né riconoscimento viola i principi del tikanga, il diritto consuetudinario Māori che regola l’uso della lingua, dei simboli e delle tradizioni. Le norme culturali Māori prevedono che, prima di utilizzare a fini commerciali parole o riferimenti sacri, sia necessario chiedere il consenso e riconoscerne pubblicamente origine e significato.

E non si tratta di un caso isolato. Oltre a Hoka, il brand utilizza altri nomi Māori come Arahi (“guidare”) e Hopara (“esplorare”) per identificare linee di scarpe, senza alcuna indicazione sull’origine o sul significato di questi termini.

Il fenomeno si inserisce in un trend più ampio: negli ultimi anni, diversi marchi e personaggi pubblici sono stati accusati di appropriazione culturale per aver utilizzato simboli o parole Māori. Dalla linea di abbigliamento di Fernando Alonso, ai tatuaggi e ai filtri digitali, fino alla richiesta di registrazione come marchio del saluto Māori “Kia Ora” da parte di Air New Zealand. Anche celebrità come Mike Tyson – che si è tatuato il moko, simbolo rituale Māori, sul volto – o lo stilista Jean-Paul Gaultier, che lo ha usato su modelli non indigeni, sono finiti al centro del dibattito.

Nel diritto della proprietà intellettuale, un marchio si valuta per la sua originalità e distintività. Tuttavia, i sistemi giuridici indigeni — spesso non codificati e basati su concetti collettivi — restano ai margini del quadro normativo. In Nuova Zelanda, il Trade Marks Act prevede una consulenza con il Māori Trade Marks Advisory Committee per impedire la registrazione di marchi offensivi per la cultura Māori. Ma questo vincolo si applica solo alle domande registrate localmente, e non ai brand che operano su scala globale.

Il caso evidenzia così un vuoto normativo, ma anche un rischio concreto per la reputazione aziendale: ignorare l’origine culturale di un marchio può danneggiare la percezione del brand e, nel lungo periodo, compromettere relazioni commerciali e istituzionali. Alcuni paesi, come Canada e Australia, stanno esplorando modelli di gestione condivisa del patrimonio culturale, basati sul dialogo e su un ritorno equo per le comunità coinvolte.

Il caso HOKA ci ricorda che un marchio non è solo un nome o un logo: può racchiudere identità, storia e simboli profondamente radicati nella cultura di un popolo.

In un’epoca in cui le imprese operano su scala globale, scegliere simboli o parole legati a tradizioni culturali richiede attenzione e consapevolezza: ignorarne il valore può mancare di rispetto alle comunità da cui provengono e, di conseguenza, danneggiare l’immagine dell’azienda.

Il mondo dei marchi sta cambiando. Le aziende che scelgono di ascoltare, riconoscere e costruire alleanze con le comunità da cui traggono ispirazione non solo evitano il rischio di controversie, ma dimostrano di saper trasformare il rispetto in valore. Perché oggi più che mai, autenticità e responsabilità sono le leve che distinguono un brand autentico da uno semplicemente registrato.