Con la sentenza numero 4131 del 18 febbraio 2025, la Corte di Cassazione torna, per la terza volta in circa 50 anni, sul tema dei poteri del singolo comproprietario nei casi di contitolarità brevettuale (o di marchio), valutando se sia permesso o meno fare uso del brevetto comune, quindi di mettere in produzione l’oggetto dell’esclusiva brevettuale, a prescindere dal consenso degli altri contitolari.
L’unico precedente che esiste sull’argomento è la sentenza 5281 del 2000, risalente a un quarto di secolo fa, nella quale l’oggetto della contesa era la pretesa da parte di un titolare unico di brevetto di vedere accertata la contraffazione in suo danno quando, tuttavia, nel giudizio incardinato, era intervenuto un terzo, legale rappresentante della convenuta, che affermava di essere stato in origine contitolare del brevetto e di avere in tale veste ceduto la sua quota alla dante causa dell’attrice.
In questa pronuncia, la Corte, confermando i due gradi di merito, aveva stabilito che, poiché il comunista, ai sensi dell’articolo 1102 c.c, non può alterare la destinazione della cosa comune o impedirne agli altri il godimento secondo il loro diritto, ove non sia stato autorizzato dagli altri comunisti, non puo’ concedere licenza di sfruttamento ne’ sfruttare unilateralmente l’invenzione.
Infatti, secondo la Corte, l’uso del brevetto deve avvenire in considerazione del fatto che esso è un bene comune, sottoposto anche in relazione al suo uso e al suo sfruttamento esclusivo, alle regole della comunione, secondo quanto disposto dall’art. 6 del Codice della Proprietà Industriale (C.P.i.).
La Corte di Cassazione si era occupata della questione, seppure sotto il diverso profilo della possibilità di concedere licenza d’uso ad un terzo da parte di uno solo dei contitolari, 20 anni prima, con la pronuncia numero 265 del 1981.
In questo caso, la Corte aveva chiarito che il contratto di licenza d’uso dei diritti derivanti da un’invenzione brevettata richiede, in alcuni casi, il consenso unanime dei contitolari del brevetto. Ciò valeva sia nel caso di convenzione avente durata ultranovennale, sia nell’ipotesi di concessione al licenziatario dell’esclusiva, in quanto questa avrebbe privato i suddetti contitolari del godimento diretto dell’oggetto della comunione, spettante loro in virtù del primo comma dell’articolo 1108.
Ciò che distingue il precedente appena richiamato dalla pronuncia dello scorso febbraio è l’oggetto dell’accertamento, in quanto allora si faceva riferimento alla facoltà di concessione della licenza d’uso ed in questi termini i limiti di cui agli articoli 1102 1108 del codice civile erano stati interpretati.
Più vicini invece alla fattispecie oggetto dell’accertamento del 2025 sono i fatti che hanno portato alla pronuncia del 2000, nella quale, tuttavia, trattandosi di accertare la possibilità di compiere atti dispositivi del brevetto nella forma della cessione di una quota di esso o della concessione dell’uso ad un terzo, la trattazione della questione dell’uso diretto da parte del contitolare era stata, al più, oggetto di un obiter dictum.
Quindi, la pronuncia di febbraio assume un ruolo centrale in quanto tratta direttamente la questione, fornendo un’interpretazione autentica dei limiti individuati dall’articolo 6, comma 1, del codice di proprietà industriale e delle norme del codice civile relative alla comunione, alle quali la prima disposizione fa rinvio.
La centralità della pronuncia è confermata da quanto la Corte precisa al paragrafo terzo della decisione, sottolineando che, in ragione della rilevanza della questione di diritto e di quella nomofilattica conseguente, si è ritenuto di differire la trattazione del caso a udienza pubblica.
la Corte torna sulla questione di una nozione assoluta ovvero relativa dell’esclusiva che il titolare e il contitolare del brevetto possono vantare.
Infatti nei primi due gradi di giudizio ed, in particolare, nella pronuncia resa dalla Corte di appello di Venezia, poi impugnata, era prevalsa una concezione relativa di tale esclusiva, sostenendo il giudice di secondo grado che questa può essere vantata nei confronti di tutti i soggetti che di quella privativa tuttavia non sono contitolari. Da ciò discendeva che un atto unilaterale di disposizione o di uso da parte del contitolare non avrebbe intaccato l’esclusiva degli altri come sopra interpretata, ricadendo nel quadro delle facoltà del singolo ammissibili.
La vicenda oggetto della sentenza di febbraio scorso nasce da un’azione presentata da un operatore di diritto sloveno nei confronti della società Mares S.p.A., nota per la commercializzazione di oggetti relativi ad attività subacquee e di pesca, per la rivendicazione di una contitolarità brevettuale con quest’ultima su un brevetto relativo ad un fucile per la pesca subacquea di innovativa concezione.
Giunto il caso nell’istanza più alta, la Corte di Cassazione ha stabilito il principio di diritto che, al contrario, sposa il concetto assoluto dell’esclusiva dei (con)titolari del brevetto, secondo il quale determinati atti di disposizione o di uso diretto non possono prescindere dal consenso degli altri, in quanto l’uso individuale andrebbe a pregiudicare l’ambito di esclusiva e le facoltà riconosciute ai comproprietari, oltre che ad intaccare il valore intrinseco del brevetto, alterandone in ultimo la destinazione.
Almeno due sono le considerazioni da svolgere a valle della pronuncia della Cassazione, che in buona parte conferma ed applica principi già espressi 25 anni prima, ma a diversa fattispecie.
La prima è quella per cui, qualora si decida di designare due o più soggetti come contitolari di una privativa brevettuale (ma anche di un marchio in fase di registrazione, dato che il precedente del 1981 coinvolgeva anche altri tipi di diritti immateriali) si deve essere consapevoli che, in assenza di patti contrari, le norme del codice civile porteranno a delle necessarie e sostanziali restrizioni delle facoltà di uso e di disposizione del singolo.
Ciò deve essere ben chiaro anche a colui che decida di acquistare una quota di comproprietà di un brevetto, dato che “erediterà” la posizione giuridica del suo dante causa, con tutti i suoi limiti.
La seconda è che, per evitare di incorrere in dette, importanti, limitazioni, è doveroso stipulare degli accordi tra le parti, coi quali sarà d’obbligo andare a normare le varie attività che, anche in deroga alle disposizioni del codice, potranno essere o meno effettuate dai singoli contitolari.
Evidentemente è centrale il ruolo del consulente nel rammentare il primo aspetto e in ogni caso nel convincere l’azienda della bontà di una scrittura privata separata nell’ipotesi in cui, per qualunque motivo, si voglia attribuire la proprietà di un diritto immateriale a più soggetti.