Articolo pubblicato in Bugnion News n.26 (Gennaio 2018)

Partendo dall’assunto che il brevetto consente al titolare di impedire l’uso commerciale dell’invenzione protetta nel brevetto, il limiti di tale protezione sono definiti dalle rivendicazioni. La limitazione della protezione da parte delle rivendicazioni è un aspetto del sistema brevettuale più favorevole ai terzi che al titolare del brevetto, in quanto imposto per ragioni di sicurezza giuridica per quanto riguarda l’estensione della suddetta protezione.
Molti almeno fra i paesi maggiormente industrializzati si sono ormai orientati nel riconoscere la contraffazione anche nel caso in cui l’attività del potenziale contraffattore si fonda sull’uso commerciale di una entità (prodotto o procedimento) che, pur non rientrando nella protezione così come letteralmente definita dalla rivendicazione, sfrutta comunque il nucleo di originalità tecnica di cui il brevetto è espressione. Ciò in particolare per evitare che si verifichi una non consentita appropriazione dell’idea inventiva del brevetto mediante varianti non ragionevolmente prevedibili al momento del deposito della domanda di brevetto.
Soprattutto in Italia molte sono le sentenze che hanno enfatizzato la valutazione della valenza inventiva di quanto brevettato ai fini della valutazione della contraffazione del brevetto.
Un paese europeo invece storicamente restio a riconoscere la contraffazione se non nel caso in cui l’attività potenzialmente in contraffazione rientri nell’ambito di protezione definito letteralmente dalle rivendicazioni è il Regno Unito, dove effettivamente la suddetta sicurezza giuridica dei terzi ha finora prevalso sulla contrapposta esigenza di tutela del titolare del brevetto.
Recentemente è stata però emessa una sentenza della corte Suprema del Regno Unito, Actavis UK Limited and others v Eli Lilly and Company, del 12 Luglio 2017, che sembra discostarsi leggermente dal passato.
Finora le corti inglesi con le precedenti sentenze Catnic Components Ltd v Hill & Smith Ltd [1982]  e Improver Corpn v Remington Consumer Products Ltd [1990] mettevano in luce il principio secondo cui, se una entità (prodotto o procedimento) sembrava non essere immediatamente ricadente nel significato letterale della rivendicazione per esempio per una variazione di un elemento rivendicato, per giudicarla in contraffazione del brevetto occorreva stabilire sia che effettivamente la variazione non cambiava il modo in cui funzionava l’entità stessa rispetto a come si desumeva dal brevetto, sia che il linguaggio della rivendicazione, interpretato da parte di un tecnico mediamente esperto, doveva non implicare l’essenzialità dell’elemento rivendicato.
L’approccio alla contraffazione per equivalenti si fondava essenzialmente pertanto sulla interpretazione della rivendicazione da parte del tecnico, e non lasciava margini al riconoscimento della contraffazione laddove l’entità in discussione effettivamente fuoriusciva dal significato letterale della rivendicazione.
Nelle più recente sentenza viene invece affermato il principio secondo cui occorre valutare proprio la possibilità che l’entità potenzialmente in contraffazione ricada in un ambito di protezione effettivamente esteso rispetto ai confini delineati dal significato letterale della rivendicazione, e pertanto anche al di là della sua interpretazione.
In particolare, per quanto riguarda la valutazione della intesa non essenzialità dell’elemento, la recente sentenza sembra affermare che il fatto che l’elemento variato sia chiaramente fuori dal significato letterale della parte della rivendicazione relativa all’elemento rivendicato non è sufficiente per affermarne l’essenzialità atta ad escludere la contraffazione.
Inoltre, viene affermato anche che l’essenzialità dell’elemento rivendicato non deve essere valutata come essenzialità per tutto il procedimento o prodotto descritto nel brevetto, ma nel contesto della risoluzione del problema tecnico, e pertanto nel contesto del nucleo inventivo principale di tale procedimento o prodotto.
La sentenza conclude proponendo tre quesiti che potrebbero funzionare da linea guida per stabilire se una entità non immediatamente ricadente nel significato letterale della rivendicazione può essere o non essere considerata comunque in contraffazione:
– la variante ottiene sostanzialmente lo stesso risultato sostanzialmente nello stesso modo dell’invenzione?
– il fatto che la variante ottenga sostanzialmente lo stesso risultato è ovvio per un tecnico medio lettore del brevetto alla data di priorità del brevetto?
– il lettore del brevetto avrebbe concluso che la corrispondenza con il significato letterale della rivendicazione è un requisito essenziale della invenzione?
In particolare, è da notare che, per il secondo ma soprattutto per quanto riguarda l’ultimo quesito, viene fatto riferimento non più al linguaggio della rivendicazione ma alla lettura del brevetto, per valutare l’essenzialità dell’elemento rivendicato.
I primi due quesiti richiamano principi in tema di contraffazione per equivalenti nati più di sessant’anni fa negli Sati Uniti ed applicati anche in parte della giurisprudenza nostrana.
Al di là delle conclusioni riguardante la specifica fattispecie affrontata nella recente sentenza, l’affermazione di tali principi sembra indicare una maggiore apertura anche della giurisprudenza brevettuale britannica al riconoscimento della contraffazione per equivalenti, certamente in favore dei titolari dei brevetti.

© BUGNION S.p.A. – Gennaio 2018

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