Nell’ultimo mese la cronaca del mondo legal-digitale è stata animata dal caso dello youtuber Francesco Salicini, in arte “Once Were Nerd”, content creator specializzato ed appassionato al mondo dei videogiochi, che pubblica sul proprio canale YouTube dimostrazioni e recensioni inerenti non solo gli ultimi videogame usciti sul mercato ma anche tutti quei videogiochi retrò, storici e ormai fuori produzione. Fra i prodotti di cui si occupa, ci sono anche hardware portatili alimentati da sistema Android e prodotti da aziende come Powkiddy e TrimUI, i quali eseguono spesso una versione di sistema operativo che consente di emulare, appunto, console di giochi vintage, come Nintendo 64, Playstation Portable, Sega etc.  

Nel mese di Aprile, “Once Were Nerd” ha ricevuto la visita della Guarda di Finanza, la quale, eseguendo il sequestro di ben 30 console, lo accusava di gravi violazioni di diritto d’autore. L’infrazione è stata riscontrata nel corso di una recensione relativa ad una console portatile Anbernic, all’interno della quale Salicini mostrava, in esecuzione sul dispositivo, una serie di materiali contraffatti – schede di videogiochi retrò, anche dette “rom” – chiaramente coperti da diritto d’autore e fra i quali figuravano diversi titoli Sony e Nintendo. Generalmente, le rom vengono pre-caricate sul dispositivo ma, nella maggior parte dei casi, come anche in questo, non sono autorizzate dai titolari dei diritti di proprietà intellettuale, violandone appunto il copyright. Oltre a quanto sopra, lo youtuber avrebbe anche pubblicato istruzioni per la configurazione delle rom sugli emulatori, fornito i link per scaricare le rom pirata da internet ed organizzato su Telegram l’asta per la rivendita delle console.  

La difficoltà di enforcement rispetto alla tutela autorale 

Il caso di “Once Were Nerd” apre importanti interrogativi sui limiti della tutela che i titolari dei diritti d’autore sui contenuti violati possono vantare e sulla salvaguardia che i vecchi videogame possono ottenere anche grazie al fenomeno del retrogaming, ovvero quella passione, oggi tornata prepotentemente in voga, per i videogiochi vintage del passato appartenenti per lo più agli anni ’70, ’80 e ’90.  

In primo luogo, gioca ovviamente a sfavore delle titolari il fatto che i produttori delle console portatili retrò operino tutti in Cina, territorio nel quale non possono essere applicate le leggi occidentali sul diritto d’autore. Risulta dunque impercorribile quel tipo di strategia che andrebbe a colpire la violazione “a monte”, perseguendo gli autori dei prodotti pirata. 

Inoltre, sebbene l’attività di vendita di tali prodotti si estenda a livello internazionale, fuori dal territorio cinese, tali soggetti, per eludere i controlli, hanno adottato la prassi secondo cui descrivono in maniera ambigua i prodotti offerti e soprattutto la presenza di eventuali rom retrò all’interno degli emulatori. Un esempio ne è proprio la società Anbernic, che offre pacchetti con schede gioco recanti la dicitura “compatibile con oltre 7.000 giochi. Questa vaghezza di contenuti non consente in prima battuta di individuare – almeno in fase di commercializzazione – la presenza di eventuali rom pirata e, in seconda battuta, di agire tempestivamente adottando gli opportuni rimedi legali.  

La normativa italiana  

Nel presente caso, l’accusa svolta dalla Guardia di Finanza si fonda sulla violazione dell’art. 171-ter della legge sul diritto d’autore (22/4/1941 n. 633), norma che sanziona chiunque, a fini di lucro e per uso non personale, duplichi, distribuisca, comunichi, diffonda in pubblico o favorisca l’utilizzo non autorizzato di opere protette da copyright o di copie illegali, anche in modo indiretto.  

Pur essendo stata più volte oggetto di modifiche, la norma ha mantenuto un impianto repressivo piuttosto rigido, prevedendo in caso di violazioni una pena della reclusione da sei mesi a tre anni e una multa da 2.500 fino a 15.000 euro

La forma di promozione indiretta sopra citata include anche l’incremento di visibilità che comporti un vantaggio economico, come, ad esempio, gli incassi derivanti dalla pubblicazione di contenuti audiovisivi tramite la piattaforma YouTube. Tale attività può integrare gli estremi di un profitto illecito qualora risulti funzionalmente connesso alla diffusione illecita, anche solo mediante agevolazione, di opere protette da copyright. 

In tale contesto, il caso “Once Were Nerd” potrebbe assumere rilievo quale precedente significativo nell’ambito dell’applicazione del diritto penale al settore digitale, con potenziali ricadute di ampio respiro sull’intero panorama dei content creator. In particolare, i contenuti diffusi dal Sig. Salicini — consistenti in video di recensione di console contenenti programmi non originali — sono stati ritenuti dalle autorità competenti illeciti sotto il profilo della normativa sul diritto d’autore, in quanto qualificati come possibili strumenti di promozione commerciale di materiale pirata

Chiaro che, sebbene la tutela autorale faccia da padrona nel mondo del software ed in particolare dei video game, altri istituti legati alla proprietà intellettuale entrano in gioco e necessitano di tutela in tale settore. Dal nome di un videogioco, che può diventare oggetto di una registrazione di marchio e, in quanto titolo di esclusiva, necessitare di autorizzazione per essere utilizzato da parte di terzi soggetti, fino al brevetto laddove venga sviluppato un nuovo sistema di controllo oppure un meccanismo di interazione innovativo non presente sul mercato.  

La tutela autorale nel mondo digitale 

Pertanto, il tema della vicenda in epigrafe non è tanto legato al mondo del gaming; non si parla infatti della legittimità di parlare o recensire videogiochi del passato o della legalità del retrogaming, hobby che esprime una visione culturale diffusa fra gli appassionati del settore. Il nodo centrale della questione è prettamente giuridico ed è legato al seguente quesito: è ammesso l’utilizzo commerciale di software protetto da diritto d’autore in assenza di autorizzazione da parte dei titolari dei diritti? 

Innanzitutto, precisiamo che il videogioco (anche quello retrò!) è un’opera audiovisiva in sé e per sé, ed è è autonomamente tutelabile dal diritto d’autore; oltre a ciò, è altresì un complesso di elementi, ovvero codice sorgente, immagini, suoni, ciascuno a sua volta tutelabile separatamente con tale strumento.  

Sebbene la risposta al suddetto quesito sembri scontata, la questione della pirateria, in particolare nell’ambito retrogaming, resta particolarmente complessa.  

Questo perché, come emerge dall’indagine svolta dalle autorità nel caso in esame, il rischio maggiore e potenzialmente concreto pare sia quello di legittimare, anche in modo involontario, circuiti paralleli di distribuzione di ROM piratate, sostenuti da dei cluster di consumatori che – incitati da video come quello di Salicini – corrono ad acquistare console di videogiochi retrò per provare esperienze di gioco dal sapore vintage. Tuttavia, così facendo, si pone in essere una pacifica violazione delle norme poste a tutela degli sviluppatori e delle aziende produttrici che, ai sensi della legge sul diritto d’autore, dovrebbero in ogni caso autorizzare qualsiasi forma di utilizzo, a partire dalla riproduzione e dalla promozione, inerente i propri software.  

Pertanto, la risposta alla quaestio iuris di cui sopra è pacificamente negativa, ma l’enforcement dei diritti di copyright delle titolari non risulta affatto soddisfacente. 

E’ possibile armonizzare la tutela legale con la salvaguardia dei videogiochi retrò?  

La problematica che emerge con l’avanzare inesorabile del tempo e lo sviluppo oltremodo rapido degli strumenti tecnologici, permane la salvaguardia dei diritti in capo ai titolari dei videogiochi retrò, posto che, sul mercato, le console che riescono a riprodurre in via legale questi rom sono sempre meno, in quanto ormai fuori produzione.  

D’altro lato, il fenomeno del retrogaming non va di certo demonizzato. L’emulazione delle console retrò e dei videogiochi storici, come sostenuto anche da accademici, archivisti, musei, addirittura da una Fondazione dedicata, la Video Game History Foundation, ha lo scopo di mantenere accessibili titoli ormai fuori produzione o dimenticati dal mercato, che peraltro, accrescono il loro valore con il passare del tempo.  

La loro salvaguardia, dunque, non è solo una “questione di diritto” ma è legata alla tutela del nostro patrimonio culturale, esattamente come esistono iniziative che permettono di conservare antichi testi o pellicole audiovisive; la battaglia che si combatte ogni giorno, dunque, avrà come obiettivo finale quello di armonizzare la tutela dei diritti delle titolari dei videogame con la necessità di conservare questi “prodotti culturali” nel nostro patrimonio digitale.