Autore: Stefano Ferro

Articolo pubblicato in Bugnion News n.23 (Luglio 2017)

I consumatori sono ormai abituati a trovare sui prodotti indicazioni che, pur non essendo obbligatorie, costituiscono un valore aggiunto che consente di intercettare alcune specifiche nicchie di mercato: parliamo ad esempio di certificazioni relative agli ingredienti (gluten-free, ecc.), ai processi produttivi (cruelty-free, ecc.), e alla conformità a vincoli di carattere religioso (halal, kosher, ecc.).

Oggi parliamo di certificazione halal. La parola “halal” significa “lecito”, in contrapposizione ad “haram” (proibito). I testi giuridici di riferimento (Corano in primis, ma anche le interpretazioni delle principali scuole giuridiche all’interno dell’Islam) non presentano un elenco di prodotti e/o servizi “halal”, limitandosi a stabilire ciò che è proibito (haram) per chi intenda vivere in conformità ai principi della religione islamica.

Intuitivamente applichiamo il concetto di “halal” al campo dei prodotti alimentari, con le ovvie esclusioni relative alla carne suina e alle bevande alcoliche. Le disposizioni di carattere religioso però si applicano anche a cosmetici e farmaci (in quanto destinati ad essere assorbiti dalla pelle), abbigliamento e finanza (per quest’ultima, ad esempio, vale il principio che non si possono ottenere interessi sui prestiti).

Per le certificazioni halal non esiste una normativa standard, né c’è un’autorità unica di riferimento a livello internazionale. Il sistema si basa quindi sostanzialmente su accordi di mutuo riconoscimento su base volontaria tra enti autorevoli, e la scelta dell’organismo di certificazione dovrà basarsi sugli attestati di riconoscimento ottenuti e sull’esperienza dello stesso. Queste certificazioni fanno riferimento non solo al prodotto finito ma all’intero processo produttivo: di regola, ad esempio, linee produttive ed attrezzature dovranno essere separate per prodotti halal e non-halal al fine di rispettare i requisiti previsti.

La certificazione halal generalmente non è obbligatoria, salvo casi relativi a specifici prodotti e a determinati Stati. Un aspetto interessante, che sta spingendo sempre più aziende a richiedere le certificazioni halal per i propri prodotti, è dato dalla crescita delle quote di mercato dei prodotti così certificati. Questa crescita deriva non solo dai consumi effettuati all’interno degli Stati a maggioranza islamica, ma anche (e in alcuni casi soprattutto) dalle scelte effettuate dai consumatori europei, appartenenti a minoranze di credo islamico ma non solo. Si stima, infatti, che sia in Francia che nel Regno Unito circa il 30% dei prodotti certificati halal venga acquistato da non musulmani.

© BUGNION S.p.A. – Luglio 2017