Articolo pubblicato in Bugnion News n.13 (Novembre 2015)

Anche in internet la novità del momento è l’Apple Watch? E non l’iWatch ? Ne siamo proprio sicuri ???
Come ricorderete, nella scorsa Newsletter la nostra bravissima Roberta Bianchi ha risposto alla curiosità di tutti noi esplicitando le motivazioni legali che hanno “costretto” una Società così attenta all’importanza dell’ Intellectual Property  ed in particolare dei marchi, quale la Apple,  a dover modificare la propria politica commerciale e di comunicazione relativa all’ultimo nato dei device di Cupertino, chiamandolo Apple Watch in luogo del certamente più atteso iWatch.

Ma non è finita qui…proprio in questi giorni, infatti, si discute nelle aule specializzate in Proprietà Intellettuale del Tribunale di Milano, un ricorso presentato dalla Società irlandese Probendi Ltd. – titolare del marchio iWatch – nei confronti della Società Apple Corporation, per vedere alla stessa inibita, e con urgenza, ogni facoltà di utilizzo della parola iWatch.

Apple difatti, ben consapevole del fatto che il consumatore target avrebbe anche e soprattutto cercato sul web informazioni ed offerte relative al proprio “Apple Watch”, e ovviamente ben consapevole del fatto che lo avrebbe cercato digitando nei principali motori di ricerca digitando l’espressione “sbagliata” iWatch, che cosa ha fatto per intercettare tale traffico ?
Ha legittimamente acquistato dalla Società che per conto di Google commercializza i principali strumenti di comunicazione pubblicitaria sul motore di ricerca – noti per l’appunto quali ad words –  la parola iWatch.
La Società titolare del marchio iWatch (ripetiamo, non è la Apple)  ha protestato sia con Apple che con Google nel momento in cui si è avveduta del fatto che digitando in Google search l’espressione incriminata i risultati della ricerca riportano ai siti riconducibili alla Apple. (provate anche voi…)

Google, che pur avendo una policy rigorosa in relazione al rispetto dei diritti derivanti dalle registrazioni di marchio analizza le rimostranze – complaints – caso per caso, valutando quindi la sussistenza o meno della responsabilità del concessionario di pubblicità online secondo le circostanze, non ha riconosciuto una propria responsabilità per il collegamento – linking – tra l’adword iWatch e i siti di Apple.

Apple si è limitata – per quanto dichiarato dai legali della Società titolare del marchio anteriore registrato vd. www.bloomberg.com  – ad ignorare le richieste, rendendo quindi inevitabile la risoluzione in sede giudiziaria della controversia.
L’aspetto più interessante dell’intera vicenda riguarda la possibilità che la Società titolare del marchio iWatch realizzi effettivamente un device indossabile al polso che,  interagendo con altri dispositivi, comunichi anche al consumatore l’ora ed altri dati cronometrici, magari in joint-venture con Samsung od altri player internazionali.

Il Giudice designato della Sezione del Tribunale di Milano sarà ora chiamato a dirimere la vertenza – prima udienza fissata per l’11 Novembre – e la linea difensiva di Apple, qualora improntata verso la non lesività dei diritti anteriori di terze parti in virtù di una funzione meramente descrittiva e non distintiva dell’ad-word, troverà una copiosa e non sempre univoca giurisprudenza Comunitaria con cui confrontarsi.

Il caso Interflora vs. Marks & Spencer – caso scuola per chi come noi si occupa di tutela IP anche in quel complesso e globale e-world nel quale tutti insieme costantemente navighiamo – ha visto affermato il divieto di utilizzo del marchio altrui anche se con finalità diverse rispetto alla finalità più propriamente distintiva. La High Court of England and Wales ha infatti recepito le indicazioni cogenti provenienti dalla Corte di Giustizia dell’ Unione Europea. Ma le differenti voci di pensiero, provenienti dalla comunità che vede nella libera espressione del pensiero un dogma spesso inconciliabile con l’altrettanto libera titolarità di diritti di intellectual property, non si è ovviamente arresa, ed anzi costantemente esprime posizioni anche antitetiche rispetto ad una normativa che – per sua statica natura – è sempre un passo indietro rispetto al dinamismo di internet.

Possiamo quindi prevedere una non immediata definizione del conflitto, e non stentiamo a credere che nelle more del giudizio cautelare, così come nella successiva fase di merito, vi sarà spazio per una serrata negoziazione tra le parti.

Negoziazione che non potrà non tener conto del fatto che il marchio Comunitario iWatch è stato valutato da una Società terza 87 milioni di Euro, e che in un recente passato Apple ha concluso una transazione in relazione al marchio iPad in Cina per una cifra di poco superiore ai 50 milioni di Euro.

Ricapitolando, anche il pianeta dell’e-commerce e della visibilità dei prodotti on-line richiede una attenta valutazione dei diritti di marchio propri e di terze parti.

E’ il nostro business ed amiamo farlo, per Voi.

© BUGNION S.p.A. – Novembre 2015