Autore: Andrea Cappai

“È il Metaverso, bellezza, e tu non ci puoi fare niente”.

Deve aver pensato qualcosa di simile Mason Rothschild, parafrasando la storica battuta di Humphrey Bogart nel film “L’ultima minaccia” (Deadline – 1952) di Richard Brooks, prima del verdetto del tribunale, che ha dato ragione a Hermès nella causa per violazione del Marchio contro l’artista americano.

Oggetto del contendere, le “opere d’arte” NFT MetaBirkin: ovvero le versioni artistiche e digitali della celeberrima borsa Birkin, creata da Hermès in onore dell’attrice Jane Birkin. Si tratta di opere digitali che possono arrivare a costare anche più della versione “fisica” della borsa, raggiungendo cifre che sfiorano i 150mila dollari. “Bastano” invece dagli 8 ai 10mila euro per acquistare la versione più semplice dell’originale, firmato Hermès. Per pelli esotiche e finiture in diamanti, il discorso è ben diverso.

Token e NFT, cosa sono e come funzionano

Partiamo (velocemente) dalle basi: per prima cosa l’acronimo NFT sta per Non Fungible Token.
Un token, in soldoni, rappresenta un certificato di proprietà digitale e gli NFT sono quindi dei certificati di proprietà per beni “non fungibili”. Ma cosa si intende esattamente? I beni non fungibili sono beni unici, o comunque rari, caratterizzati da una scarsa disponibilità: come un’opera d’arte o un francobollo, che possono essere unici o in edizione limitata.

Così come il bene di cui certifica la proprietà, anche l’NFT di norma viene considerato “non fungibile”, ovvero unico e non scambiabile con altri (salvo contratti particolari).

Va chiarito però che l’acquisto di un NFT non comporta automaticamente l’acquisto dei diritti di Proprietà Intellettuale sul bene, né, tantomeno, garantisce che l’opera che si acquista non includa anche elementi coperti da diritto d’autore che appartengono ad altri (o sia in tutto e per tutto una copia di un’opera di terzi).

Peraltro, al pari delle note borse del pellettiere francese, la non fungibilità delle opere digitali certificate tramite NFT non è frutto di una reale unicità o scarsità, ma è creata ad arte da chi le commercializza. I ben informati dicono, infatti, che le interminabili liste d’attesa, le misteriose strategie di selezione degli acquirenti che sono autorizzati ad acquistare le borse e la fluttuazione dei prezzi della maison francese siano orchestrati ad arte per incrementare la scarsità percepita del prodotto. Allo stesso modo, l’unicità delle opere digitali legate agli NFT non dipende da un’intrinseca scarsità – essendo opere digitali, sono potenzialmente riproducibili un numero illimitato di volte – ma dalla scelta di chi le commercializza di limitare il numero di opere disponibili.

In entrambi i casi, l’unicità o scarsità sarebbe facilmente aggirabile ma una parte dell’esperienza di acquisto (per alcuni, l’unica motivazione) sta proprio nell’essere parte dei cosiddetti “happy few.

Hermès contro Mason Rothschild

Il caso Hermès contro Rotschild era cominciato oltre un anno fa, quando l’artista USA mise in vendita cento borse digitali che riprendevano le fattezze della celebre Birkin dal sito metabirkins.com.
In risposta alla contestazione di Hermès, Rothschild aveva rivendicato la sua libertà di artista, protetta dal Primo Emendamento, che garantisce la libertà di espressione, definendo le “MetaBirkins” come un’“astrazione giocosa di un monumento della cultura della moda”.

Per ragioni storiche e politiche, questo argomento è sempre stato un porto sicuro negli Stati Uniti per artisti di ogni genere; la tutela della vera o presunta libertà di espressione, infatti, prevale quasi sempre sugli interessi di parte, non ultimi quelli dei titolari di diritti di Proprietà Intellettuale.

A porre fine alla querelle ci ha pensato il Tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto Sud di New York, ascrivendo all’artista Mason Rothschild la responsabilità di violazione del Marchio registrato, diluizione del marchio e cybersquatting, con un risarcimento complessivo fissato nei termini di 133.000 dollari.

Sebbene i difensori di Rothschild abbiano tentato di richiamare l’esempio arcinoto delle lattine di zuppa Campbell rappresentate nei quadri di Andy Wharol, non sono riusciti a convincere la giuria della validità del parallelo. Wharol infatti dipingeva le zuppe Campbell come metafora della quotidianità ordinaria che lo circondava.

Leggendo le mail e i messaggi inviati da Rothschild prima del lancio delle MetaBirkin – resi noti in sede di discovery – emerge, invece, un proposito tutt’altro che artistico e metaforico. L’artista parla delle sue opere come una “miniera d’oro” e non sembra avere, dietro alle sue scelte, qualcosa in più del semplice interesse a trarre profitto dalla notorietà di Hermès.

Infatti, la giuria che ha emesso il verdetto ha ritenuto che l’uso del marchio “Birkin” nel nome dell’NFT (privo di alcuno sforzo creativo, se non la mera giustapposizione al banalissimo suffisso “Metà-“), la registrazione di un dominio in cui il marchio Birkin è perfettamente leggibile e la risolutezza con cui Rothschild intendeva trarre profitto dalle sue opere fossero indici sufficienti di un intento fraudolento e non certo artistico.

Forse un maggior sforzo creativo da parte di Rothschild, quantomeno nella scelta del nome, avrebbe reso più facile difendere la tesi dell’opera d’arte tutelata dal Primo emendamento.

Di sicuro, la titolarità di diritti di marchio anche in relazione alle opere digitali ha aiutato Hermès nell’ottenere una decisione favorevole. 
È una vittoria di Pirro, certamente, dato che il risarcimento è inferiore al costo attuale di una sola delle cyber-borse. Resta, comunque, una vittoria (e di peso).

Nel frattempo, il caso è stato citato anche in molte altre cause legali incentrate sul web3 che sono proliferate nel frattempo, come quella che Yuga Labs ha intrapreso contro Ryder Ripps e una causa separata su un Bored Ape Yacht Club NFT che è arrivata davanti a un tribunale di Singapore.

L’importanza di una corretta protezione del Marchio

Sia che si legga il caso Hermès vs Rothschild come la prima lettera dell’epitaffio sulla lapide degli NFT o come il primo passo verso un futuro in cui questa nuova forma d’arte si evolve in una forma di business più regolata e legittima, questo è solo il primo caso di una lunga serie di cui leggeremo nei prossimi mesi. La prossima puntata è quella di Nike contro StockX, per l’uso di immagini delle scarpe Nike per il proprio Vault.

Di certo, l’interesse degli acquirenti per queste nuove forme d’arte non sembra destinato a calare. L’impiego e l’acquisto di NFT, infatti, è oggi un fenomeno in rapida espansione, tanto nei giochi online quanto sulle varie piattaforme virtuali.

Allo stesso tempo, l’offerta è naturalmente destinata a crescere e, con essa, i rischi per i titolari di diritti di PI di vedere i propri asset indebitamente utilizzati da terzi per trarne vantaggio.

Qualsiasi sia l’evoluzione di questo fenomeno, il caso Hermès vs Rothschild può rassicurare chi è titolare di diritti di esclusiva, ma deve anche essere un richiamo alla crescente importanza, per le aziende di ogni tipo (dalla moda all’automotive, passando per il settore luxury e design), di tutelare con attenzione i propri Marchi e Design, anche contro gli abusi in ambito virtuale. Parafrasando sempre Bogart nel suo iconico Casablanca (1942), se l’aereo decolla e i titolari di diritti di PI non sono a bordo con gli artisti del Metaverso, finiranno per pentirsene. Forse non oggi, forse non domani, ma presto.