Autore: Tiziana Pacini

Orientiamoci e cerchiamo di fare chiarezza tra i fenomeni sempre più diffusi e in crescita del reselling, customizing e upcycling.

Reselling, cos’è e come funziona

Il reselling consiste nell’acquistare modelli in tiratura limitata di articoli di varie tipologie, generalmente sneakers o capi di abbigliamento, per poi rivenderli, online ma non solo, a un prezzo maggiorato.

Ci ricordiamo tutti il caso Lidl, che nel 2020 mise in vendita nei propri negozi la collezione di sneakers, “Lidl Fan Collection” a 13 euro. Le scarpe andarono letteralmente a ruba: dopo solo pochi giorni erano esaurite in negozio ma disponibili online, rivendute da terzi a un prezzo decisamente più alto.

Oggi, quindi, tutti i consumatori sono dei potenziali reseller, grazie ai social media e alle piattaforme create ad hoc, come StockX. Il marketplace online propone sneakers, capi streetwear e accessori mettendo in contatto acquirenti e venditori, facilitando le aste tra gli stessi, garantendo la trasparenza dei prezzi e l’autenticità degli articoli posti in vendita.

La crescita esponenziale di tale fenomeno è legata alla voglia di possedere dei pezzi unici, o quantomeno rari, difficilmente reperibili in commercio, mentre per chi vende è connessa all’opportunità di guadagni facili, anche molto alti.

Come proteggersi: tenere alta la propria reputazione

Dal punto di vista giuridico, tale pratica è ammissibile dal momento che i diritti del titolare del marchio si esauriscono con la prima immissione in commercio dei prodotti, effettuata dal titolare stesso o con il suo consenso. Il titolare non può opporsi alla ulteriore commercializzazione dei propri prodotti, a meno chesussistano motivi legittimi, ad esempio un ri-confezionamento scadente che svilisca la reputazione del marchio. Ciò a tutela della libera concorrenza nel mercato.

Customizing, cos’è e come funziona

Il customizingè un’attività che prevede la creazione di un prodotto nuovo, tramite la rielaborazione di uno originale disponibile sul mercato. L’articolo “customizzato”, che scaturisce da tale attività, mostra chiaramente il marchio, generalmente celebre, di quello originale.

A differenza del reselling, il prodotto è nuovo e diverso rispetto a quello originale immesso sul mercato dal titolare del marchio, ma non è realizzato o autorizzato da quest’ultimo. Il nuovo articolo può, quindi, generare confusione o ingannare i consumatori. È evidente l’intenzione dell’autore di sfruttare il potere attrattivo del marchio altrui, che gode di notorietà, per ottenere un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno o causare un pregiudizio agli stessi. Si crea così un’interferenza con i diritti di esclusiva del titolare del marchio e tale condotta è stata ritenuta illecita, in quanto contraffazione di marchio altrui.

Come proteggersi: spazio al cliente

Particolarmente rilevante in merito è la sentenza del Tribunale di Udine del 2018 sul caso della produzione e commercializzazione di spille realizzate con bottoni raffiguranti marchi celebri del settore della moda, che ha riconosciuto rilevanza, anche penale, al fenomeno del customizing.

Nonostante la sua illiceità, è necessario venire a patti con un incremento esponenziale di questo fenomeno legato alla richiesta di prodotti sempre più personalizzati. Sempre più aziende hanno capito tale esigenza e hanno iniziato a personalizzare l’offerta, fornendo l’opportunità ai clienti di scegliere molti dettagli dei prodotti, anche tramite apposite app e tecnologie con possibilità di interazione. Si instaura così un dialogo e una relazione diretta e personale tra azienda e clienti, che così si fidelizzano. Questo permette alle aziende di acquisire un vantaggio competitivo sul mercato.

Upcycling, cos’è e come funziona

Sull’onda di una maggiore attenzione ai consumatori, alle loro emozioni e all’ambiente che ci circonda, nasce l’upcycling, noto anche come riuso creativo.

Il termine upcycling è stato coniato nel 1994 dall’ingegnere tedesco Reiner Pliz e significa riutilizzare, riciclare, rielaborare gli oggetti per creare un prodotto di maggiore qualità, reale o percepita. L’obiettivo è dare nuova vita e splendore ad un prodotto già creato. Le parole d’ordine sono ripensare e riprogettare, in una sfida creativa condita di sostenibilità, accessibilità e innovazione.

Ci sono due modi per fare upcycling: pre-consumer o post-consumer. Nel primo si utilizzano, recuperano e rigenerano scarti di tessuto o altro materiale per confezionare un capo: si tratta quindi di un tessuto/materiale che non è ancora passato dalle mani del consumatore. Nel secondo, si modificano vestiti o articoli già usati, dando così nuova vita a pezzi vintage.

Come proteggersi: giocare d’anticipo

Diversi marchi della moda stanno cercando di integrare le innovazioni tecniche e le fibre/tessuti di riciclo nel processo di progettazione dei capi, fondendo texture, colori e forme dei vari articoli, oppure, di trasformare abiti o oggetti di seconda mano, creando nuovi design senza lavorare la materia prima.

Sono nate così diverse partnership tra brand della moda, che hanno dato vita a un’estetica mix-match distinta e riconoscibile. Ad esempio, Upcycled by Miu Miu che, in collaborazione con Levi’s, reinterpreta i classici jeans in chiave anticonformista e giocosa.

Possono sussistere, infatti, complicazioni quando terze parti, non autorizzate dal titolare del marchio, alterano i prodotti autentici e li rimettono sul mercato, generando confusione tra i consumatori rispetto all’origine dei prodotti. Il principio di esaurimento, citato prima, non trova applicazione qualora la condizione materiale del prodotto sia stata modificata dopo la sua prima vendita.

La chiave per i brand per proteggersi dagli abusi di terzi è proprio produrre essi stessi i loro prodotti upcycled, anche attraverso accordi di licenza, merchandising, co-branding o altri accordi contrattuali con altre società.

Nuove e sempre maggiori sfide attendono le aziende per adattarsi ad un panorama commerciale sempre più complesso, tenendo in considerazione sia le esigenze individuali, orientate verso una sempre maggiore personalizzazione dei consumi, che quelle collettive, che strizzano l’occhio al risparmio e alla sostenibilità.