Il 4 marzo 2021, la società di blockchain Injective Protocol ha caricato sul suo canale YouTube un video in cui si vede un ragazzo usare un accendino per dare fuoco a una serigrafia del celebre street artist Banksy intitolata “Morons (White)”, che raffigura un’asta affollata, dove il battitore è impegnato nella vendita di un quadro sulla cui tela sono scritte le parole “I can’t believe you morons actually buy this shit”. Prima di incenerire l’opera d’arte, acquistata da Injective Protocol per 95mila dollari, il ragazzo spiega che lo scopo del gesto è quello di rendere unica la rappresentazione digitale dell’opera, preliminarmente creata e autenticata quale NFT (acronico di Non Fungible Token), mediante la blockchain. Infatti, una volta distrutto il supporto fisico, di quella specifica serigrafia è rimasto solo il corrispettivo digitale, che ha sostituito del tutto l’opera originale e che ha trovato un acquirente, conosciuto solo con lo pseudonimo di “Galaxy”, disposto a spendere 382mila dollari – o meglio 228,69 Ether – per poter rivendicare la proprietà del primo Banksy tramutato in un’entità digitale.

Questa trovata pubblicitaria ha avuto enorme successo, oltre a essere risultata molto lucrativa per gli ex proprietari del Banksy “fisico”, visto che è diventata una notizia virale diffusa non solo tramite i social network ma anche tramite i mass media di tipo tradizionale, rappresentando così, per molti dei molti profani della blockchain, il primo contatto con il mondo dei token non fungibili.

Gli NFT, di cui descriveremo caratteristiche e impieghi nella seconda parte di questo articolo, sono la nuova frontiera del diritto d’autore, ovvero del complesso di norme nazionali e internazionali che ha l’obiettivo di tutelare l’espressione dell’ingegno creativo di artisti, scrittori, musicisti, fotografi e, in certi casi, di designer, ingegneri e informatici.

Per quanto sia controintuitivo, è un fatto che il diritto d’autore, anche più degli altri membri della famiglia della proprietà intellettuale, cioè brevetti, marchi e design, si è sviluppato e trasformato seguendo l’evoluzione del progresso tecnologico, che è da sempre motore delle rivoluzioni creative, in campo artistico e non. Per comprendere la sfida lanciata oggi dagli NFT al diritto d’autore, è utile ripercorrere velocemente il modo in cui l’innovazione tecnologica ha letteralmente partorito e poi rivoluzionato ripetutamente il diritto d’autore e con l’occasione illuminare alcuni suoi aspetti fondamentali, sfortunatamente poco conosciuti e quindi poco sfruttati dal mondo imprenditoriale.

L’esigenza della tutela autoriale, intesa come rivendicazione morale, è sempre esistita, ma è con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, alla fine del ‘400, che il problema si pose soprattutto in termini di riconoscimento economico. Infatti, questa invenzione ha permesso la diffusione di testi scritti con una portata senza precedenti, che durante l’era moderna ha prodotto l’alfabetizzazione di una vasta parte della popolazione europea, creando quindi una nuova classe di consumatori di libri.

Il “copyright”, la versione anglosassone del diritto d’autore, nasce nel ‘500 in Inghilterra quando la corona concedette il monopolio del diritto di stampa, di copia e di distribuzione dei libri alla sola Corporazione degli stampatori e cartolai di Londra. La svolta fondamentale si è però avuta durante il regno di Anna, nei primi del ‘700, quando l’Inghilterra ha promulgato la prima legge in cui il diritto di stampa, copia e vendita dell’opera passava dall’editore all’autore. A questo punto, nasceva il problema di riconoscere i giusti diritti patrimoniali agli autori, divenuto critico quando il perfezionamento delle macchine di stampa, culminato con l’invenzione della macchina rotativa a metà ‘800, produsse un vero consumo di massa di giornali, libri, testi teatrali e libretti d’opera, i quali circolavano anche fuori dai confini nazionali del paese in cui risiedeva l’autore. Questa circostanza ha portato alla più grande innovazione legislativa della storia del diritto d’autore, ovvero la Convenzione di Berna. La Convenzione stabilisce che il diritto nasce automaticamente in capo all’autore nel momento in cui l’opera è “fissata”, ovvero registrata su un supporto, senza che sia necessaria una sua formale registrazione presso enti pubblici. Inoltre, la Convenzione prevede la reciprocità della tutela del diritto tra gli stati contraenti, attualmente 179; in pratica, ogni contraente deve riconoscere come soggetto a diritto d’autore anche il lavoro creato da cittadini degli altri stati che aderiscono alla Convenzione. La tutela deve essere automatica ed è anzi proibito richiedere al cittadino straniero alcuna formalità che possa ostacolare il godimento e l’esercizio del diritto d’autore.

Per comprendere l’importanza della “protezione automatica” offerta agli autori dalla Convenzione di Berna, si pensi al fatto che la mancata adesione alla Convenzione da parte dell’impero russo, impedì al futuro premio Nobel Henryk Sienkiewicz di rivendicare diritti d’autore per la traduzione e pubblicazione in diversi paesi, tra cui l’Italia, del fortunatissimo romanzo “Quo Vadis”, edito in patria nel 1896.

Col ‘900, l’espressione creativa vive l’apoteosi della riproducibilità tecnica, con la diffusione di invenzioni come la fotografia, la radio, il grammofono (e poi il giradischi), il cinema e la televisione, lasciando al supporto originale su cui è fissata l’opera un’importanza di poco superiore a quella delle copie, perfettamente “fungibili”, ovvero sostituibili l’una con l’altra. Si sviluppa allora l’esigenza di avere organismi pubblici di riconoscimento dei diritti economici degli autori e della loro riscossione. In Italia, questa funzione viene assunta dalla SIAE (ovvero “Società Italiana degli Autori ed Editori”) che attualmente comprende la Divisione Musica che amministra i diritti relativi alle opere musicali, la Sezione Cinema che si occupa di film e serie TV, le Sezione Opere Drammatiche e Radiotelevisive che gestisce il teatro in prosa, i musical, il cabaret e le opere create appositamente per la radio e la televisione, la Sezione Lirica che si occupa sia della lirica che dei balletti e infine la Sezione Opere Letterarie e Arti Figurative che amministra pittura, scultura, fotografia, opere letterarie e software.

Oltre a proteggere il lavoro degli ingegneri, conferendo loro l’esclusiva sulla riproducibilità dei loro progetti, il diritto d’autore si è anche evoluto in modo da tutelare le opere dell’industrial design, da sempre eccellenza italiana, purché abbiano di per sé carattere creativo e valore artistico. Tali requisiti sono stati per esempio riconosciuti all’iconica lampada “Arco” dei fratelli Castiglioni.

Il diritto autoriale è rimasto al passo anche con l’era dell’informazione, dato che il software è tutelato nel suo codice sorgente e codici oggetto, alla stregua di un’opera letteraria. In dettaglio, per proteggersi da dipendenti infedeli o fornitori poco leali, un’azienda che voglia rivendicare la paternità di un’applicazione software può ricorrere al Deposito Opere Inedite o al Pubblico Registro per il Software presso la SIAE, a seconda che l’applicazione sia tenuta riservata oppure offerta al pubblico.

Non solo, ma le aziende possono reclamare una tutela autoriale anche sulle proprie banche dati, se configurate in modo creativo oppure se per costruirle e preservarle è richiesto un investimento rilevante sotto il profilo quantitativo e qualitativo (è il caso dei cosiddetti “Big Data”).

Veniamo quindi ai Token non fungibili e al loro complesso rapporto col diritto d’autore.

Gli NFT sono in pratica dei certificati di autenticità associati a un oggetto digitale (ad esempio un’immagine, un video, una gif, un tweet, ecc..) che può essere replicato identico per un numero indefinito di volte ma che, se considerato come singola occorrenza – o “token” – e garantito da una blockchain, diviene a tutti gli effetti unico, ovvero “non fungibile”.

Divenuta famosa per essere la tecnologia alla base delle criptovalute, la blockchain è in sostanza una struttura dati in perenne crescita e mantenuta da migliaia di computer, che definisce un registro digitale crittografico, dove si può tenere traccia di operazioni e transazioni di ogni genere. Nel caso degli NFT, la blockchain garantisce l’autenticità di un file e ne conserva la storia, impiegando un insieme di metadati che, essendo copiati migliaia di volte su computer diversi sparsi per il Globo, non rischiano di andare persi o di venire contraffatti.

Pertanto, mentre due banconote da 10 euro sono totalmente “fungibili”, perché una vale l’altra, un certo file per il quale sia stato creato un NFT – anche se corrisponde a un’immagine o un video copiabile ad libitum creando altri file – viene reso “non fungibile”, cioè unico.

Nel mondo dell’arte, l’esempio più celebre di NFT è senz’altro “Everydays — The First 5000 Days” un collage di cinquemila opere digitali, realizzate una al giorno nell’arco di 13 anni e mezzo da “Beeple”, nome d’arte di Mike Winkelmann.

L’NFT che rappresenta quest’opera d’arte è stato battuto da Christie’s per un valore di 69,3 milioni di dollari (ovvero 42.329 Ether), facendo di Everydays la terza opera d’arte di un artista vivente più costosa della storia. L’NFT di Everydays è stato acquistato da Vignesh Sundaresan, noto con lo pseudonimo di MetaKovan e proprietario del criptofondo Metapurse, con lo scopo di esporre il collage in un museo virtuale. In pratica, MetaKovan ha comprato un file JPEG di 21,069 x 21,069 pixel, incluso in un certo portafoglio digitale, garantito da uno smart contract e “coniato” come NFT, nella blockchain Ethereum, il 16 Febbraio 2021.

La questione spinosa per il diritto d’autore è che MetaKovan possiede solo quella specifica copia di Everydays che ha comprato da Christie’s e non, per esempio, quella rappresentata in questo articolo, sulla quale egli non ha alcun diritto. Inoltre, nulla vieta di creare un secondo NFT su una diversa copia di Everydays e poi metterlo all’asta. Si è giunti quindi al paradosso che il massimo di smaterializzazione consentito dalla tecnologia attuale riporta l’arte nella condizione originaria, quando chi comprava un quadro da un Raffaello Sanzio, per fare un esempio, era proprietario solo di quello specifico “token” materiale e non di eventuali copie, con la differenza che copiare un file è molto più semplice che riprodurre un dipinto.

Tuttavia, la tecnologia NFT potrebbe in futuro diventare utilissima per contrastare un fenomeno tipico dell’era di internet, cioè l’impossibilità per gli autori o gli enti pubblici come la SIAE di censire e monetizzare la riproduzione delle opere sul web. Questa circostanza ha notoriamente ricadute molto pesanti nel campo della musica. Con la nascita prima del file sharing e poi dei social network e dei servizi di streaming come YouTube, Spotify o Apple Music, il consumo di musica si è spostato quasi completamente su internet, con la conseguenza che gli artisti non hanno più alcun accesso alle informazioni relative alla riproduzione dei propri brani. Il risultato della privatizzazione dell’intermediazione dei contenuti artistici è stata una perdita netta della remunerazione per gli autori, tanto che spesso si sente dire che “per colpa di internet, il diritto d’autore è morto”.

Tuttavia, la Divisione musica della SIAE ha avviato un progetto d’avanguardia, fondato appunto sugli NFT, che potrebbe aiutare gli artisti a ottenere il giusto compenso per il proprio lavoro. In pratica, la SIAE sta costruendo un sistema decentralizzato e automatizzato per i pagamenti delle royalties agli autori musicali, che si poggerà sullo sviluppo di una banca dati aperta a tutti ma inalterabile, dove i singoli diritti intermediati sono registrati sotto forma di NFT, con lo scopo di rendere istantanee e pubbliche le transazioni dagli utenti agli artisti.

Possiamo concludere che se davvero il diritto d’autore può morire, allora ciò che abbiamo raccontato in questo articolo dimostra che esso può anche rinascere dalle sue ceneri come l’Araba Fenice o come una serigrafia di Banksy bruciata e poi “trasfigurata” in un’entità digitale eterna e immutabile.

© BUGNION S.p.A. – Maggio 2021

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