Autore: Stefano Ferro

La Proprietà Industriale e Intellettuale è certamente una forma di protezione fondamentale contro eventuali attività imitative compiute da terzi non autorizzati, ma non solo. La PI è anche e soprattutto un valore economico concreto per le aziende, al punto da essere considerata un “asset immateriale” vero e proprio, che è possibile vendere, concedere in licenza, eccetera.

Non basta. I diritti di Proprietà Intellettuale infatti possono essere utilizzati anche per comunicare ai consumatori e ai concorrenti che l’azienda è titolare di un diritto di esclusiva su determinati aspetti funzionali o estetici, e tale informazione può essere apposta direttamente sul prodotto o sulla sua confezione: stiamo parlando del cosiddetto “Patent Marking”.

Il titolare del brevetto o del modello è obbligato ad apporre tali indicazioni? Se sì, in quale modo?
E ancora: in assenza di obbligo, esiste una convenienza ad apporre tali indicazioni sui prodotti o sulle confezioni?
Ci sono alcuni aspetti da considerare e cercheremo di approfondirli qui di seguito.

In linea generale, se consideriamo le giurisdizioni più importanti, il Patent Marking non è mai obbligatorio. Fa eccezione il Giappone, che all’articolo 187 della Legge Brevetti locale impone, appunto, di dichiarare l’esistenza di un brevetto attraverso un’indicazione posta sul prodotto o sulla sua confezione. Tale obbligo, però, non prevede alcuna sanzione e quindi di fatto anche in Giappone il Patent Marking si può considerare facoltativo.

In alcuni ordinamenti di tradizione giuridica anglosassone (USA, Regno Unito, India, Sudafrica, Australia per fare alcuni esempi) la presenza o meno del Patent Marking influisce sull’ammontare dei danni risarcibili. In tali ordinamenti, infatti, esiste la cosiddetta “innocent infringement defence”, cioè la facoltà per il presunto contraffattore di difendersi dimostrando di non essere venuto a conoscenza dell’esistenza di un determinato brevetto. Tale difesa non può essere utilizzata quando ci sia già stato l’invio di una diffida oppure quando il Patent Marking sia stato apposto correttamente. Negli USA, in particolare, considerando i risarcimenti concessi dai giudici nelle azioni di contraffazione, è altamente consigliabile rispettare le linee guida dell’USPTO e indicare il numero di brevetto preceduto dalla dicitura “Patent:” o “Pat.:”, facendo attenzione anche ad utilizzare la lettera D qualora sul prodotto insista un “Design Patent”.

Alcuni ordinamenti prevedono, in alternativa al Patent Marking tradizionale, il cosiddetto “Virtual Patent Marking”, che consente di indicare sul prodotto o sulla sua confezione un indirizzo Internet in sostituzione dell’indicazione materiale del numero del brevetto applicabile. Tale soluzione è prevista, sempre parlando degli ordinamenti giuridici più importanti, negli USA, nel Regno Unito e in Corea del Sud (ordinamento, quest’ultimo, in cui si può utilizzare in alternativa anche un codice QR o un codice a barre). L’indirizzo Internet indicato nel prodotto o nella sua confezione dovrà essere liberamente accessibile e non richiedere, quindi, l’utilizzo di password né essere sottoposto ad altre condizioni di ingresso. La pagina Web visibile dovrà indicare chiaramente a quali prodotti siano associati determinati brevetti (relativi ad aspetti funzionali o di design). Tale modalità consente di gestire con maggiore flessibilità il Patent Marking, eliminando ad esempio le indicazioni relative ai brevetti nel frattempo scaduti o comunque lasciati decadere.

In tutti i territori da noi esaminati c’è una qualche forma di sanzione (penale o solo amministrativa, ma a volte con multe di ammontare elevato) nei confronti del c.d. “false marking”. Si parla di “false marking” non solo quando si dichiara che un prodotto è brevettato mentre in realtà non lo è, ma anche quando, ad esempio:

  • un brevetto è scaduto per decorrenza del termine ventennale o per mancato pagamento delle annualità;
  • il brevetto esiste ma non copre quel prodotto nello specifico; oppure
  • il brevetto esiste ma non è in vigore nel territorio in cui il prodotto viene venduto.

In Italia il “false marking” è sanzionato dall’articolo 127 (2) del Codice della Proprietà Industriale, che prevede una sanzione amministrativa da 51,65 a 516,46 Euro per chiunque apponga su un oggetto “parole o indicazioni non corrispondenti al vero, tendenti a far credere che l’oggetto sia protetto da brevetto, disegno o modello oppure topografia o a far credere che il marchio che lo contraddistingue sia stato registrato”. Questa sanzione amministrativa, di ammontare peraltro modesto, è l’unica conseguenza che la nostra normativa ricollega al “false marking”. In Italia, a parte questo aspetto, il Patent Marking non è regolamentato e non ha, soprattutto, conseguenze rispetto al risarcimento dei danni in un’eventuale causa di contraffazione.

Una situazione particolare, tra i territori a noi vicini, è quella che riguarda la Germania. In quel territorio, infatti, l’apposizione sui prodotti o sulle confezioni di indicazioni di non chiara comprensione per i consumatori è vista come atto di concorrenza sleale. La giurisprudenza ha individuato una serie di combinazioni, in tedesco, che sono accettabili: si può quindi parlare, ad esempio, di brevetto “pendente”, oppure “nazionale”, internazionale”, “europeo” o “estero”. Inoltre, sempre la giurisprudenza locale ha stabilito che tali indicazioni possono essere apposte solo se il brevetto che viene citato riguarda una parte sostanziale del prodotto. La presenza o meno del Patent Marking non ha invece effetti sul risarcimento dei danni, a differenza di quanto avviene, ad esempio, negli USA.

Anche la Cina ha regole particolari in tema di Patent Marking. In Cina il Patent Marking non è obbligatorio e non influisce sul risarcimento del danno nelle azioni di contraffazione, ma qualora si vogliano apporre tali indicazioni sui prodotti o sulle loro confezioni si devono seguire regole molto precise. Bisogna infatti indicare il tipo di brevetto (per invenzione, modello di utilità o design) in cinese, facendolo seguire dal numero di concessione. Qualora il brevetto sia in corso di concessione bisogna indicare tale circostanza sempre chiaramente e in lingua cinese. In caso di indicazioni false o non accurate ci sono sanzioni erogate dalle competenti autorità locali (law enforcement authorities) che possono andare da un semplice ordine di rimozione o correzione alle multe, fino ad arrivare alle sanzioni penali.

Le considerazioni fin qui esposte mostrano come, purtroppo, le regole relative all’apposizione sui prodotti di indicazioni come “brevettato”, “design registrato”, “brevetto depositato” non siano armonizzate. Non esiste, quindi, una modalità che possa consentire al titolare di un brevetto di rispettare tutte le normative del mondo e di ottenere, al tempo stesso, il massimo dei risultati previsti da tali normative. In Cina e in Germania, ad esempio, ci sono vincoli di tipo linguistico che precludono l’utilizzo dell’inglese, e anche il Virtual Patent Marking, che probabilmente prenderà piede nei prossimi anni, al momento non è efficace nei territori che non prevedono espressamente tale modalità.