Autore: Vieri Canepele

Articolo pubblicato in Bugnion News n.29 (Luglio 2018)

Lo scorso dicembre la Corte di Giustizia UE, interpellata dal Tribunale spagnolo commerciale di Barcelona sull’interpretazione dell’art. 7(1) Direttiva EC 2008/95 e art. 37 Tr. Ist. UE, ha reso una pronuncia importante sul principio del c.d. esaurimento del marchio[1].

In buona sostanza, ci si è chiesti (e la Corte ha dato una risposta alquanto ‘creativa’ sul punto, comunque non essendoci tipizzazioni nella normativa applicabile) fino a che punto l’esclusiva del titolo registrato a livello nazionale in un Paese EU (Spagna) possa spingersi, in particolare se possa permettere di vietare importazioni in detto Paese da altri Paesi EU, coperti da registrazioni separate e divenute di titolarità di soggetti terzi.

La particolarità del caso richiede una breve descrizione dell’antefatto, dal quale immediatamente si comprende come i principi sanciti dalla Corte siano di immediato impatto non solo nella valutazioni preliminari fatte ‘a monte’ della cessione di uno o più marchi, ma anche nelle strategie commerciali da seguire pure successivamente alla cessione.

In breve, nel 1999, Cadbury Schweppes (divenuta poi Schweppes International Ltd.), titolare unica dei marchi ‘SCHWEPPES’ ha ceduto alcuni dei suoi marchi, tra cui quelli registrati nel Regno Unito (UK), in Russia e Turchia, a Coca-Cola, trattenendo a sé la titolarità degli altri.

Per la Spagna, la società inglese Schweppes Ltd. ha concesso licenza esclusiva alla Schweppes S.A..

Dopo l’acquisto, Coca-Cola ha, parallelamente, concluso accordi per l’importazione in Spagna delle sue bevande, tra cui l’acqua tonica ‘Schweppes’, con un suo partner, Red Paralela S.L..

Nel maggio 2014, Schweppes S.A. e Ltd. hanno convenuto per contraffazione Red Paralela S.L. dinanzi il Tribunale Commerciale n. 8 di Barcelona, allegando l’illiceità della commercializzazione in Spagna dei prodotti a marchio ‘SCHWEPPES’.

Investito della controversia, il Juzgado de lo Mercantil 8 di Barcelona sospende il contenzioso, sollevando questione di interpretazione dell’art. 7 della Direttiva EC 2008/95 e dell’art. 36 Trattato Istitutivo dell’Unione, essendo evidente l’incidenza del principio di libertà di circolazione dei prodotti, a livello dell’Unione.

Prima di giungere alle proprie conclusioni, la Corte ha sottolineato l’importanza dell’apprezzamento delle specifiche del caso, potendo sensibilmente variare il giudizio in concreto, in quanto la materia dell’esaurimento del marchio e, quindi, della forza dell’esclusiva sul marchio registrato all’interno della EU si trova tra ‘due fuochi’, l’uno dato dall’esclusività del titolo registrato, l’altro dai principi di libera circolazione delle merci nel territorio UE (art. 36 Tr. Ist. UE), i quali, in bilanciamento e contrapposizione, possono orientare soluzioni diverse, di volta in volta.

Nei vari passaggi, pare che la Corte abbia proceduto alla ‘tipizzazione’ di alcune condotte che, ai sensi della normativa europea ed italiana (art. 13.2 Reg. 207/2009 e 5.2 C.p.i.), non possono costituire legittimo motivo di impedimento alla libera circolazione delle merci.

In particolare, sottolineando che la funzione essenziale del marchio deve essere, anzitutto, quella di garantire una determinata provenienza imprenditoriale del prodotto, evitando di generare confusione nei consumatori, la Corte ha precisato che, se le due parti della cessione di un marchio nazionale hanno mantenuto una ‘strategia commerciale’ coordinata e deliberatamente continuato, anche a seguito della cessione, a promuovere sul mercato l’immagine di un marchio unico a livello globale, il cedente non potrà poi pretendere tutela, per il fatto di aver, in primis, contribuito lui stesso a ‘confondere’ il pubblico in un certo territorio, compromettendo la funzione essenziale di distintività, intesa come unicità, della fonte imprenditoriale del prodotto su cui il segno è posto.

E questo è il primo avvertimento.

Infatti, risultavano agli atti delle iniziative concordate tra Schweppes Ltd. e Coca-Cola per la promozione del prodotto in alcuni Stati EU, anche successive alla vendita dei marchi UK. Oppure è stato evidenziato che Coca-Cola operasse come licenziatario ‘Schweppes’ in Olanda. Soprattutto, le due aziende avevano proceduto a registrare marchi identici nei rispettivi territori, senza sovrapposizioni, il che non poteva che esser frutto di un coordinamento.

In secondo luogo, per la Corte, è possibile presumere un consenso all’uso del segno con certe modalità ed in determinati territori quando tra le due aziende, cedente e cessionaria, successivamente alla vendita, sussiste un ‘economic link’, quale la licenza, o comunque un accordo tale che permetta alla prima di continuare ad avere potere di controllo su come quel segno è usato dalla seconda.

Concludendo, il campanello della Corte deve suonare per due motivi agli orecchi dell’azienda interessata da una cessione territoriale di marchi.

La prima volta per sollecitare una attenta riflessione sull’opportunità di procedere ad una cessione (o acquisto) territorialmente limitati di un segno o di un portfolio di marchi quando l’intenzione è quella di continuare ad operare sul mercato (europeo e globale magari) con un brand sostanzialmente unico, seppur facente capo a due entità indipendenti formalmente.

La Corte invece afferma che ciascun marchio, all’interno del proprio territorio di registrazione, deve essere distintivo di una certa azienda, e quindi differenziarsi da quelli di proprietà di terzi. Non importa se in origine il titolare fosse unico.

A posteriori, poi, non si potrebbe pretendere tutela, ed una conseguente segmentazione del mercato (unico) europeo, allo scopo di evitare una confusione che la Corte ritiene che la cedente abbia colpevolmente contribuito e continuato a creare.

In secondo luogo, ci si deve domandare se ugualmente opportuno, e fino a che punto, sia elaborare, successivamente alla cessione, una strategia commerciale coordinata sull’uso del segno, il che potrebbe costituire l’economic link’ che la Corte ritiene sufficiente per presumere una facoltà di controllo sulla gestione del segno da parte del cedente.

Insomma se si vende, si devono davvero prendere ‘due strade separate’, altrimenti si rischiano le conseguenze di una vendita solo simulata.

[1] Art. 13 Reg. 207/2009: 1.   Il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

  1. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio.

© BUGNION S.p.A. – Luglio 2018