Autore: Mauro Bronzini

Articolo pubblicato in Bugnion News n.31 (Novembre 2018)

Dopo aver ricevuto una multa di oltre 4 miliardi di Euro dalla Commissione Europea per abuso di posizione dominante sul mercato dei sistemi operativi per smartphone, GOOGLE ha subìto una nuova batosta da parte delle autorità europee.

Il “colosso di Mountain View” sarà certamente rimasto a fissare con gli occhi sgranati (espressione che peraltro si traduce in inglese con “to goggle”..) la recente  decisione dell’EUIPO, l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale*.

Nel giugno del 2015 Google ha richiesto la registrazione del pulsante “play” di Youtube per una ampia gamma di prodotti e servizi. L’EUIPO ha respinto parzialmente la domanda di registrazione, ritenendo il marchio non registrabile per gran parte dei prodotti e dei servizi attinenti alla pubblicazione e condivisione di contenuti multimediali, le attività che costituiscono proprio il “core business” di Youtube.

Secondo l’Ufficio, il pulsante “play” usato da Google non è idoneo ad indicare la provenienza dei servizi da una particolare impresa; infatti è più probabile che il consumatore (in questo caso l’utente di internet) lo intenda come un semplice riferimento alle caratteristiche del servizio proposto.

Per confermare questo argomento l’Ufficio ha rilevato che esistono numerose “app” caratterizzate da loghi descrittivi dei servizi offerti; ad esempio una app che consente l’accesso alla posta elettronica ben può presentare l’immagine di una busta da lettere, una app per il calendario potrà avere come logo un calendario, ecc. Tuttavia questo significa solo che i produttori di queste app sono liberi di utilizzare i loghi della busta da lettere, del calendario, ed altri loghi descrittivi ma non necessariamente potranno rivendicare sugli stessi un diritto di marchio che, lo ricordiamo, significa il diritto di riservarsi l’utilizzo esclusivo di un segno impedendone l’utilizzo da parte dei concorrenti.

Il tema è certamente cruciale perché le app sono necessariamente rappresentate da icone di piccole dimensioni che devono veicolare in modo immediato ed efficace la loro funzione, quindi la tentazione di utilizzare la rappresentazione pedissequa del loro oggetto è molto forte.

In effetti, nel caso di specie, l’Ufficio ha rilevato che il marchio non diverge dalla rappresentazione standardizzata del simbolo “play” che tutti conosciamo.

Per ottenere la registrazione Google doveva dimostrare un utilizzo sufficientemente esteso del simbolo in questione, e che in conseguenza di tale uso l’utente di internet riconosce il pulsante “play” come indicatore dei servizi della piattaforma Youtube (si tratta del cosiddetto “secondary meaning”).

Il tentativo non è andato a buon fine.

Tra le varie obiezioni sollevate, l’Ufficio ha rilevato che le prove depositate da Google dimostrano principalmente l’uso del marchio YOUTUBE, mentre il pulsante “play” è collocato in una posizione separata, con ciò facendo pensare ad un utilizzo descrittivo e decorativo del segno, quindi non in funzione di marchio.

Per chiarire il concetto è utile fare riferimento a questa immagine:

 

 

 

 

 

 

 

 

Inoltre, l’Ufficio ha affermato che le prove presentate non dimostrerebbero l’uso del marchio in questione in ciascun paese della UE, condizione necessaria per poter ottenere la tutela come marchio UE. Google ha cercato di controbattere che il mercato di riferimento ha le stesse caratteristiche in tutti i paesi ed ha sostenuto che tutti gli utenti che lo utilizzano, principalmente “giovani adulti” e teenagers, avrebbero in comune il fatto di essere influenzati dalle stars di YouTube. Questo argomento è stato contestato dall‘Ufficio, secondo il quale invece le barriere linguistiche renderebbero il “mercato” delle stars di YouTube non omogeneo a causa delle differenze tra i vari paesi.

Questo ultimo scambio di battute sembra un po’ surreale e non pare cogliere pienamente il nocciolo della questione; se è vero che l’attività di Youtube consiste sostanzialmente nel permettere agli utenti l’accesso e la condivisione di video, poco importa se le “stars” che popolano il mezzo si propongono ai fans parlando la propria lingua; il funzionamento della piattaforma rimane sempre lo stesso, dappertutto.

Comunque, dalla lettura della decisione si coglie un giudizio molto negativo dell’EUIPO circa la qualità del materiale portato da Google a sostegno delle proprie tesi; questa opinione sembra abbastanza condivisibile.

Un suggerimento per Google: cercando i termini “secondary meaning” su Youtube si trovano delle demo interessanti.

 

 

*Si tratta della decisione della Commissione dei Ricorsi, R-119/2018-2 del 28 agosto 2018

 

© BUGNION S.p.A. – Novembre 2018