Articolo pubblicato in Bugnion News n.24 (Settembre 2017)

L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) ha recentemente puntato il mirino contro i più noti bloggers e influencers. Con un comunicato stampa del 24 luglio, l’AGCM ha infatti annunciato l’invio di numerose lettere di “moral suasion” a celebrità del mondo “social” e a diverse aziende, con l’avvertimento di cessare l’attività di “influencer marketing”.

L’influencer marketing, secondo la definizione dell’AGCM, “consiste nella diffusione su blog, vlog e social network (come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, Myspace) di foto, video e commenti da parte di “bloggers” e “influencers” (ovvero di personaggi di riferimento del mondo online, con un numero elevato di followers), che mostrano sostegno o approvazione (endorsement) per determinati brand, generando un effetto pubblicitario, ma senza palesare in modo chiaro e inequivocabile ai consumatori la finalità pubblicitaria della comunicazione”.

Tra i più noti influencer in Italia vi sono Chiara Ferragni, Belen Rodriguez, Fedez e Anna Tatangelo.
L’influencer marketing rappresenta la naturale evoluzione “social” della pubblicità occulta, attività quest’ultima notoriamente vietata.
Principio cardine del diritto pubblicitario è infatti quello della trasparenza. Ciò è espresso chiaramente all’art. 5 del Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145 in tema di pubblicità ingannevole, il quale statuisce che: “La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. […] É vietata ogni forma di pubblicità subliminale.

Anche il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, la fonte di riferimento in tema di diritto pubblicitario, emanato dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), all’art. 7, dispone che: “La comunicazione commerciale deve essere sempre riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti”.

L’insidia dell’influencer marketing (e della pubblicità occulta in generale) è chiara: i followers interpretano la comunicazione dell’influencer come consiglio derivante dall’esperienza personale di quest’ultimo e non come pubblicità. Viene meno così l’istintiva barriera protettiva psicologica del consumatore quando è in presenza di una pubblicità immediatamente riconoscibile come tale.
L’AGCM non era mai intervenuta prima in tema di influencer marketing, a differenza di altre autorità Antitrust straniere, come la Federal Trade Commission (FTC) negli USA.
La FTC nel maggio 2016 ha infatti censurato una campagna pubblicitaria della catena americana di grandi magazzini Lord & Taylor condotta su vari social network mediante fashion influencers e su alcuni blogs, con l’utilizzo di tag e hashtag come @lordandtaylor o #DesignLab (il marchio dell’abito sponsorizzato). Secondo la FTC, le modalità di presentazione del prodotto sponsorizzato inducevano a ritenere che si trattasse di giudizi imparziali e indipendenti degli influencers o dei bloggers e che Lord & Taylor non si sarebbe adoperata per rendere noto che gli influencers erano retribuiti (e quindi non imparziali). L’Antitrust americana ha sanzionato la catena di grandi magazzini ma, sorprendentemente, non gli influencers coinvolti.

Tornando al caso italiano, l’AGCM ha quindi individuato nel proprio comunicato alcune linee guida per influencers e aziende, al fine di rendere palese la finalità commerciale di un contenuto diffuso tramite social network, ossia l’inserimento di disclaimer nel testo del post, quali #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento.

È interessante notare come anche l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) abbia recentemente preso posizione sul medesimo tema, in maniera indipendente dall’AGCM, promuovendo la “Digital Chart” IAP, ossia una raccolta di raccomandazioni in tema di comunicazione digital. L’IAP, per una corretta compliance con l’art. 7 del Codice (principio di trasparenza e riconoscibilità) raccomanda l’inserimento, almeno nei primi tre hashtag, delle diciture “#Pubblicità/#Advertising”, o “#Sponsorizzato da … brand/#Sponsored by… brand ” o “#ad” unitamente a “#brand”.
Si tratta quindi di un tema caldo sul quale le due principali autorità italiane che si occupano di diritto pubblicitario sono intervenute con raccomandazioni non sempre allineate.

E non è tutto perché non si tratta unicamente di definire quali espressioni sono sufficienti a rendere il messaggio pubblicitario riconoscibile come tale, ma va verificato sul piano giuridico il contesto, la loro evidenza, gli accordi contrattuali tra inserzionista e influencer, e concretamente quali sono gli obblighi posti a carico dell’influencer e cosa l’azienda fa per monitorare e reagire di fronte a condotte non lecite. Insomma è un tema complesso e articolato e il rischio di sanzioni è molto elevato. I rapporti sotto osservazione non sono solo quelli disciplinati contrattualmente ma anche quelli dove un contratto manca e all’influencer di turno l’azienda ha solo regalato dei prodotti.

Se da un lato sarebbe auspicabile un intervento congiunto delle due autorità che faccia chiarezza sul complesso tema dell’influencer marketing nel rispetto delle normativa vigente (nazionale e autodisciplinare) o, in alternativa, come è stato ipotizzato con un intervento normativo, non va dimenticato che le norme ci sono già e vanno rispettate.
Il fenomeno, tuttavia, è in continua evoluzione.
L’uso delle capacità degli influencers di guidare le scelte dei consumatori non è più limitato ai beni di lusso, tecnologici o della grande distribuzione, ma si è esteso, per esempio, anche all’editoria.

Sempre più spesso, autori ed editori “ingaggiano” numerosi personaggi noti che comunicano, il più delle volte senza rendere palese il loro rapporto contrattuale con l’editore, di avere letto ed apprezzato un libro le cui vendite subiscono, a seguito dell’ endorsement, “impennate” straordinarie.

Quello degli influencers è solo una forma di pubblicità veicolata attraverso il web, che costituisce indubbiamente la forma di comunicazione più versatile ed utilizzata anche per la sua economicità.

Essa, tuttavia, non si deve dimenticare, è soggetta alla medesima normativa cui sono sottoposte le forme tradizionali di comunicazione.
E a tale normativa si deve attenere.

© BUGNION S.p.A. – Settembre 2017