Autore: Claudio Balboni

Articolo pubblicato in Bugnion News n.24 (Settembre 2017)

Ritenere che la Cina sia ancora un Paese emergente è ormai un’opinione datata poiché, di fatto, l’economia del Gigante asiatico può essere considerata a pieno titolo “emersa”. Anche nel suo nuovo ruolo di colosso dal punto di vista economico, Pechino continua a guardare con estremo interesse a ciò che succede in Occidente, per cercare di sfruttarlo al massimo: nel bene… o nel male.
Sono sotto gli occhi di tutti le importanti acquisizioni di aziende (calcistiche in primis, ma non solo) da parte di colossi cinesi; sempre più di frequente si registra l’interesse da parte di aziende cinesi ad acquistare marchi storici o semplicemente “vecchi” del nostro continente, all’evidente scopo di richiamare una storia ed un’origine di prestigio. I conflitti in materia di marchi con aziende di questo Paese sono all’ordine del giorno.

Tutti sanno che la lingua cinese usa caratteri, gli ideogrammi, che sono diversi dall’alfabeto latino che utilizziamo noi (e quasi tutti i Paesi occidentali); meno nota e comprensibile, invece, è la “percezione” che il consumatore cinese avrà del marchio che vogliamo proteggere e che, conseguentemente, influenzerà la forma in cui cercheremo di tutelarlo.

Il procedimento di trasformazione da marchio in caratteri latini a marchio in caratteri cinesi si chiama “traslitterazione”.
Si parla di “traslitterazione fonetica” quando si sceglie un segno in caratteri cinesi la cui pronuncia è simile a quella del marchio nella lingua originale – ossia il “suono” che quel marchio produce all’orecchio del consumatore – indipendentemente dal significato semantico che tale suono potrà avere. Con la “traslitterazione concettuale”, invece, si sceglie un segno che abbia un significato simile o, quantomeno, compatibile con quello del marchio originale, senza prestare attenzione a come il segno scelto verrà pronunciato in concreto.

Nel selezionare la “versione cinese” del proprio marchio è indispensabile valutare, di volta in volta, se si preferisca enfatizzare l’aspetto fonetico o quello concettuale o se, invece, sia meglio cercare una via di mezzo, ovvero un segno in caratteri cinesi che abbia un significato compatibile con il marchio stesso e, dall’altro, venga pronunciato in maniera simile al marchio di origine.
La traslitterazione fonetica, essendo basata sul suono del termine, è un criterio usato spesso per i marchi della moda e, più in generale, per i marchi che non hanno alcun significato di senso compiuto (ad esempio i cognomi). La traslitterazione fonetica, peraltro, è suggeribile nel caso in cui il marchio sia già conosciuto dai consumatori cinesi e si sia già diffusa sul mercato una “versione” cinese del proprio segno distintivo.

Nell’adottare una traslitterazione strettamente “fonetica”, tuttavia, si deve prestare particolare attenzione all’eventuale significato dei suoni che vengono scelti; una traslitterazione perfetta dal punto di vista sonoro, infatti, può implicare la scelta di ideogrammi che hanno un significato negativo o, comunque, non compatibile con la natura del prodotto o con la brand identity.

Il caso più famoso è probabilmente quello della Coca Cola. Quando l’azienda americana decise di entrare nel mercato cinese optò per la traslitterazione fonetica “蝌蚪啃蜡” (ke dou ken la), senza però tener conto del fatto che gli ideogrammi scelti avevano un significato assolutamente inadatto ad una bevanda, ovvero “girino”, “morso” e “cera”. Successivamente, su suggerimento di un professore di Shanghai, l’azienda ha optato per una traslitterazione altrettanto simile dal punto di vista sonoro “可口可乐” (ke kou ke le), ma dal significato decisamente meno bizzarro e traducibile con la formula “che fa gioire la bocca”.

La traslitterazione concettuale, invece, essendo basata sulla significato della parola, viene usata quando si vuole veicolare al consumatore il significato sotteso al marchio: così ha fatto Voklswagen, la quale era interessata a comunicare il concetto di “macchina del popolo”, ovvero “Volks” (persone) e “Wagen” (vettura).

Al di là dei problemi connessi alla traslitterazione del marchio, ve ne sono altri inerenti alla priorità di deposito in Cina. Sono frequentissimi i casi in cui il marchio di grandi, medie od anche piccole aziende europee o nazionali, sia già stato depositato in territorio cinese, al non troppo velato scopo di lucrare sulla sua cessione, una volta che il legittimo titolare occidentale sia interessato a intrattenere rapporti con gli operatori commerciali di questo Stato.

Sono incappati in problemi che attengono sia alla traslitterazione, che alla priorità di deposito, colossi come New Balance, la quale si è trovata sul mercato cinese un soggetto che aveva depositato un marchio costituito dagli stessi ideogrammi che la stessa utilizzava per commercializzare le proprie calzature: tale inconveniente costò alla società americana una condanna a 98 milioni di RMB (circa 13 milioni di Euro) come somma equivalente al 50% dei profitti realizzati dall’azienda in questione nei due anni nei quali venne usato il marchio “di un terzo” (somma ridotta, nel successivo grado di giudizio, a 5 milioni di RMB: circa 650.000 Euro).

Queste sono alcune delle svariate problematiche alle quali un’azienda che sia interessata a commercializzare in Cina deve prestare particolare attenzione: per assisterla, Bugnion ha creato al suo interno un Team China, che mantiene rapporti con partner cinesi di primaria importanza ed è disposizione per fornire ai propri clienti tutta l’assistenza necessaria per potere sfruttare al meglio le opportunità fornite da questo territorio.

© BUGNION S.p.A. – Settembre 2017