Articolo pubblicato in Bugnion News n.52 (Luglio 2021)

Da pochi giorni si è disputata la finale del Campionato Europeo di calcio che ha visto gli Azzurri trionfare al Wembley Stadium di Londra dopo un percorso di successi ininterrotti, vissuti con una forza inaspettata da parte dei ragazzi di Mancini. Sembrava quasi fosse destino, qualcosa di già scritto per la nostra nazionale che ci ha sempre creduto forse proprio grazie al fatto che la finale sarebbe stata disputata l’11 luglio. Questa data ha infatti un particolare fascino per la nazionale azzurra e per gli sportivi italiani che hanno vissuto la finale mondiale disputata l’11 luglio 1982 che ha visto l’Italia trionfare a Madrid contro la Germania.

Questa volta gli Azzurri la coppa se la sono andata a prendere proprio a casa degli inglesi, in una finale disputata 39 anni più tardi, nello stesso giorno.

Ma se la coppa porta la data dell’11 luglio 2021, la competizione appena disputata ha mantenuto il nome originale “EURO 2020”.

Infatti, come noto, il torneo avrebbe dovuto disputarsi nel 2020, ma è stato rinviato di dodici mesi in modo da poter completare le coppe europee e i campionati nazionali della stagione 2019-2020, sospesi a causa della pandemia.

Ciononostante, la UEFA ha deciso di mantenere invariata la denominazione del torneo per la quale aveva peraltro già provveduto, fin dal 2016, ad una serie di registrazioni di marchio a contenuto “Euro 2020”, tra cui il noto segno

Quali sono dunque i motivi che spingono a mantenere un marchio che è già obsoleto nel momento in cui si svolge l’evento che deve contraddistinguere?

Volendo vedere unicamente l’aspetto romantico della questione, potremmo limitarci a vedere in questo gesto la volontà di mantenere la connessione con la data originale del torneo che si sarebbe dovuto disputare nel 2020 ma che, per ragioni ben note e infauste, è stato posticipato; tuttavia, non è questo il solo motivo.

Alla base di tale decisione sussistono infatti anche ragioni strettamente connesse ad aspetti economici legati alla gestione dei marchi. In primo luogo, si pensi agli investimenti volti all’adozione di un brand di successo quali ad esempio i costi di creazione e sviluppo del logo e del materiale di comunicazione ad esso legato, oltre al riconoscimento dei diritti autorali su tali opere e la conseguente impossibilità di modificarle senza il consenso dell’autore. A ciò si aggiungano i costi di deposito del marchio che possono essere piuttosto significativi se, come in questo caso, si vuole proteggere in modo completo i propri diritti con un’ampia tutela territoriali e merceologica.

La parte più rilevante è tuttavia connessa agli investimenti in termini di comunicazione e promozione dell’evento interessato, attività queste che sono state intraprese fin dalla fine della precedente competizione del 2016, adottando una strategia di programmazione anticipata dell’evento e della costruzione del brand, stante la sua particolare risonanza ed importanza.

In questa edizione in particolare, sono sicuramente stati più ingenti anche i costi logistici che tale manifestazione ha comportato dal momento che, in occasione del 60° anniversario della nascita del Campionato Europeo, le gare non sono state disputate in una singola nazione ma in ben 11 città europee, generando spese di organizzazione, trasferimenti, accoglienza maggiori rispetto al passato con una presenza del marchio che ha necessariamente coinvolto, in termini di comunicazione, numerose amministrazioni in tutta Europa.

Non dimentichiamo inoltre che attività di questo tipo comportano significativi investimenti per la predisposizione di contratti di licenza e merchandising nelle più ampie e disparate categorie di prodotti. Si pensi ad esempio al merchandising di oggettistica, dall’abbigliamento agli accessori, di prodotti alimentari, fino a quello editoriale; uno degli emblemi di questi eventi calcistici è l’album di figurine Panini Spa.

Bisogna dunque considerare che la decisione di modificare il logo “EURO 2020” non avrebbe riguardato solo gli organizzatori dell’evento sportivo, ma anche i loro partecipanti e partners – sponsor, emittenti, fornitori di materiale alle squadre e agli atleti, ecc.-, vanificando ingenti sforzi in termini economici e di immagine.

Ma vi è un ulteriore quesito da porsi una volta adottata questa scelta: quali sono i modi, per gli organizzatori e gli operatori dell’evento, di proteggersi o reagire contro terzi che, approfittando di questa discrasia temporale, volessero tentare di appropriarsi indebitamente di segni come “EURO 2021” o simili, abbinandoli magari al proprio marchio?

Oltre alla possibilità – a onor del vero piuttosto dispendiosa – di depositare un portafoglio marchi “difensivo” che veda i medesimi segni depositati con la data aggiornata, vi sono alcune strade sicuramente percorribili.

L’opposizione ad eventuali nuove registrazioni sarebbe certamente il primo passo da considerare, tuttavia non è possibile escludere che un segno, costituito da elementi deboli quali la dicitura EURO abbinata a un numero che rappresenta chiaramente la data, possa essere considerato estremamente descrittivo facendo ricadere il marchio nel novero dei cosiddetti “marchi deboli” che godono quindi di una tutela piuttosto imitata. Conseguentemente, un segno avente ad oggetto un marchio distintivo (ad esempio il nome dell’azienda che lo deposita) + EURO2021, potrebbe essere riconosciuto come sufficientemente differente rispetto al marchio originario ed escludere quindi il rischio di confusione.

Fortunatamente anche in Italia è stata introdotta la possibilità di presentare opposizione sulla base di un marchio notorio che non richiede la sussistenza di alcun rischio di confusione perché si verifichi l’illecito.

Non dimentichiamo infatti che i segni in questione godono di rinomanza in quanto concernono eventi che si ripetono ciclicamente e che, per la loro natura, convogliano un elevatissimo numero di spettatori portando un’enorme eco mediatica.

Il marchio di rinomanza, di cui all’art. 12. (1) lett. f) del Codice di Proprietà Industriale (o marchio che gode di notorietà secondo quanto previsto dal Regolamento dell’Unione Europea) consente al titolare di attivarsi nei confronti di marchi identici o simili quando l’uso di questi ultimi senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi. Particolare caratteristica del marchio di rinomanza è inoltre data dal fatto che la tutela non si limita ai prodotti e servizi identici o affini a quelli connessi alla registrazione, ma permette di ampliare la protezione anche a beni distanti dalla sfera di interesse del titolare del marchio.

Inoltre, l’art. 8.3 C.p.i. stabilisce che i segni usati in campo sportivo e le denominazioni e sigle di manifestazioni, se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall’avente diritto, o con il consenso di questi. In questo caso quindi, non solo la UEFA avrebbe diritto di opporsi alla registrazione, ma lo stesso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) avrebbe la facoltà di rifiutare un marchio se ritenuto in contrasto con tale disposizione.

Oltre a quanto sopra, è esperibile altresì un’azione civile per il risarcimento dei danni e per la violazione delle norme sulla concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. ovvero art. 10 bis della Convenzione dell’Unione di Parigi sulla Proprietà Intellettuale. Tuttavia, quanto sopra comporta l’avvio di azioni giudiziarie spesso lunghe e sicuramente piuttosto dispendiose, i cui risultati non sempre finiscono per essere soddisfacenti.

In ogni caso, noi la coppa l’abbiamo portata a casa, ma chissà se una finale giocata effettivamente nel 2020, anno in cui la domenica sarebbe stata il 12 luglio, avrebbe avuto il medesimo successo per i nostri Azzurri; forse, la tanto invocata “cabala” avrebbe qualcosa da ridire!

© BUGNION S.p.A. – Luglio 2021

 

 

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