Articolo pubblicato in Bugnion News n.48 (Dicembre 2020) 

“Poltrone e Sofà”, per il pubblico, fa rima con “artigiani della qualità” ed è sinonimo di prezzi scontati e offerte speciali da cogliere al volo.

Le numerosissime campagne pubblicitarie, televisive e non solo, che da anni si sono avvicendate, le une alle altre, sono sempre state incentrate proprio sull’eccezionalità dei prezzi promossi.

Tanti dei lettori di questa newsletter si saranno chiesti come sia possibile che le offerte speciali di “Poltrone e Sofà”, che per loro natura e per esplicita previsione normativa devono avere una durata limitata nel tempo, possano di fatto susseguirsi senza soluzione di continuità.

E si saranno anche chiesti come fosse possibile che un prodotto chiaramente industriale potesse rivendicare una natura “artigianale”.

Ebbene. Solo i telespettatori più attenti si saranno accorti che da qualche anno il claim “artigiani della qualità” è stato sostituito negli spot con quello “autentica qualità”. E ciò è avvenuto non per una scelta della Società, ma perché il Giurì della Pubblicità ha accertato e dichiarato che fosse ingannevole rivendicare la natura artigianale dei prodotti a marchio “Poltrone e Sofà”, nel contesto delle immagini alle quali si accompagnava, posto che l’azienda si avvaleva, e si avvale ancora, di una rete di società terziste.

Ma non è questo il solo caso in cui il Giurì (e peraltro anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) si è pronunciato sulla illiceità delle campagne di questo investitore pubblicitario: al centro delle decisioni sono però sempre stati sconti, offerte e modalità di finanziamento.

Se a questi procedimenti Poltrone e Sofà forse si era abituata, immaginiamo che con grande stupore abbia appreso il contenuto dell’ingiunzione di desistenza del Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria del 26 ottobre 2020.

Lo spot andato on air nell’ottobre del 2020 non conteneva infatti offerte speciali e sconti.

Su questo fronte, quindi, tutto bene.

A finire nel mirino del Comitato di Controllo, che, per chi non lo sapesse, ha la possibilità di ingiungere, agli inserzionisti pubblicitari, motu proprio o su segnalazione di consumatori, di interrompere la programmazione di campagne ritenute contrarie alle norme del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, è stata una “particolare” narrativa costituente il “cuore” della recente campagna televisiva, accompagnata da immagini ad essa richiamata.

Andiamo con ordine. Lo spot esordiva con una voce maschile fuoricampo che affermava: “a noi italiani, in particolare dalle nostre parti, si sa, piace studiare l’arte del sedere in tutte le sue forme”.

Mentre la voce narrante recitava la suddetta frase, veniva inquadrato il fondo schiena, con riprese più o meno ravvicinate, di una serie di donne, fondoschiena sul quale si soffermava l’occhio di altrettanti uomini che si scambiavano, tra loro, sguardi complici.

Lo spot non è piaciuto affatto al Comitato di Controllo, il cui Presidente ha ritenuto che lo stesso fosse manifestamente contrario all’art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Non vi è dubbio, ad avviso del Comitato, si legge nell’ingiunzione “che una siffatta comunicazione, intrisa di luoghi comuni, che indugia su un doppio senso di dubbio gusto, offra al pubblico un’immagine svilente della figura femminile: “l’arte del sedere” oggetto delle considerazioni e degli sguardi maschili si traduce infatti nella prima parte dello spot nelle inopportune attenzioni che alcuni uomini rivolgono a una parte sensibile del corpo umano, quale è il fondo schiena, con ciò mettendo in scena una rappresentazione triviale e stereotipata delle relazioni tra i sessi ed una ingiustificata oggettificazione del corpo femminile”.

Per chiarezza, si consideri che l’art. 10 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale stabilisce che “la comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose. Essa deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere”.

Il Comitato di Controllo, da moltissimi anni, interviene a tutela dell’uso delle immagini di donne, rilevando che spesso, la figura femminile, nell’impatto complessivo della comunicazione, viene strumentalizzata al solo scopo di attirare l’attenzione del pubblico. Né valore scriminante viene attribuito dall’uso di un “codice” ironico. Si è affermato infatti, in diversi provvedimenti, che l’eventuale intento ironico della comunicazione viene ampiamente trasceso dalla rappresentazione, che finisce col rendere il corpo femminile, di cui si evidenziano particolari anatomici, oggetto passivo esposto al pubblico, conducendo inevitabilmente alla mercificazione della persona.

Da professionista che da anni si occupa di diritto della pubblicità, osservo che a nulla è valso inserire, nella pubblicità di cui ci stiamo occupando, tra gli “osservatori” del fondo schiena altrui, anche una donna.

L’intento dell’azienda alla base di tale scelta era certamente quello di evitare proprio l’accusa di rappresentare una scena “maschilista”.

Questo particolare non è stato preso in considerazione dal Comitato.

Alla luce di questa decisione si può affermare che l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria interviene in maniera sempre più rigorosa nei confronti di rappresentazioni pubblicitarie che, attingendo dal patrimonio “culturale” del nostro e di tanti paesi del mondo, sviliscono e stereotipizzano l’immagine della donna.

© BUGNION S.p.A. –  Dicembre 2020