Questi primi giorni autunnali hanno visto al centro della trattazione di numerose testate giornalistiche l’ordinanza n. 18675/2025 della Corte di Cassazione, benché essa, curiosamente, risalga ai primi caldi giorni di luglio. 

Il clamore mediatico si deve, con ogni probabilità, al calibro delle parti coinvolte: la celeberrima casa automobilistica Automobili Lamborghini S.p.A., nota per le vetture sportive tra le più desiderate al mondo, sinonimo internazionale di potenza e design, e la cantante e show-girl italiana, Elettra Lamborghini.

Quest’ultima ha presentato la propria domanda per la registrazione del marchio “Elettra Lamborghini” dinanzi all’UIBM ricevendo immediata opposizione da parte dell’azienda delle supercar.

Tale opposizione è stata fondata sull’articolo 12, comma 1, lett. d) ed e) del Codice di Proprietà Industriale, rivendicando quindi, rispettivamente, il rischio di confusione con i marchi anteriori contenenti la denominazione “Lamborghini”, dei quali viene rivendicata altresì la notorietà.

In particolare, uno degli aspetti cardine delle contestazioni mosse nei confronti della richiedente era proprio l’indebito vantaggio derivante dall’agganciamento alla notorietà del marchio Lamborghini, cuore dei marchi anteriori e del segno contestato, nonché il pregiudizio subìto dall’opponente a causa di detto utilizzo.

La notorietà del marchio anteriore “Lamborghini” è stata puntualmente dimostrata dalla casa automobilistica sia nel settore dell’automotive, sia nei settori dell’abbigliamento, degli accessori, dei cosmetici, dell’high-tech, della profumeria e degli spazi Lamborghini Lounge. Detta rinomanza non è stata messa in discussione né dall’UIBM né dalla Commissione dei Ricorsi.

Quest’ultima, tuttavia, adita da Elettra Lamborghini a seguito dell’impugnazione della decisione dell’UIBM che l’aveva vista sconfitta, ha ritenuto che l’uso del segno omonimo fosse in realtà giustificato dal diritto della richiedente a registrare il proprio nome civile come marchio cd. patronimico, così come sancito dall’articolo 8, I e III comma C.p.i.. Il nome Elettra Lamborghini, ad avviso della Commissione, sarebbe diventato notorio in campo artistico e musicale e, pertanto, il suo utilizzo come marchio sarebbe stato giustificato dalla “genesi della notorietà acquisita in ambito civile” dalla richiedente, indipendentemente dalla rinomanza del marchio automobilistico “Lamborghini” e dal prospettato sfruttamento di detto segno a scopi commerciali.

Tale asserzione non teneva certo conto del fatto che la richiedente fosse la nipote di Ferruccio Lamborghini, fondatore della stessa casa automobilistica e che su questo legame familiare la stessa avesse giocato più volte. Ne erano una dimostrazione alcuni video-clip che la vedevano protagonista e che, sin dai suoi esordi, mostravano in primo piano, in associazione alla cantante, anche le note auto da corsa.

Tutto ciò avveniva senza che ci fosse alcun rapporto di co-branding o sponsorship con Automobili Lamborghini, società dalla quale l’originario fondatore, nonché blasonato avo della cantante, era uscito a partire dai primi anni ’70, cedendo interamente tutte le sue quote.

Automobili Lamborghini ha così deciso di impugnare il provvedimento della Commissione dei Ricorsi dinanzi la Suprema Corte.

Un aspetto procedurale che merita attenzione è il primo motivo di ricorso e, cioè, la contestazione della mancata pronuncia da parte degli organi aditi sul rischio di confusione ex art. 12, comma 1, lettera d) quale motivo di opposizione assorbito in primis dall’UIBM, poi riproposto alla Commissione che, tuttavia, aveva omesso di pronunciarsi sul punto concentrando la sua analisi sulla notorietà dei marchi anteriori.

Si tratta di un aspetto tutt’altro che secondario, perché evidenzia come talvolta l’autorità, per ragioni di economia processuale, decida di dedicare la propria dissertazione solo ad alcune questioni, lasciandone aperte altre che possono poi riemergere nei successivi gradi di appello.

Pertanto, plauso merita la scelta strategica della parte ricorrente di demandare una pronuncia su tale aspetto originariamente trascurato dall’autorità competente.

Infatti, la stessa Corte di Cassazione ha statuito che non fosse possibile ritenere che la Commissione avesse negato implicitamente il rischio di confusione tra i segni in conflitto, avendo riconosciuto, anzi, la somiglianza tra gli stessi.

La Suprema Corte ha poi richiamato autorevole giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo cui il marchio è, oltre ad un segno distintivo funzionale ad indicare l’origine imprenditoriale di determinati prodotti o servizi, anche e soprattutto il veicolo di determinati valori attraverso cui condurre la propria strategia commerciale, utilizzato per fini pubblicitari o per acquisire una reputazione finalizzata alla fidelizzazione del consumatore. Pertanto, maggiori sono la notorietà e la capacità distintiva di un marchio anteriore, più intensa sarà la possibilità che esso venga invocato da parte di un segno successivo e, quindi maggiore sarà il rischio che quest’ultimo tragga un vantaggio indebito da tali notorietà e capacità distintiva.

Ne consegue che, sebbene la genesi della notorietà acquisita ed il prospettato sfruttamento commerciale del proprio nome civile siano due validi motivi, commercialmente parlando, per voler affermare il proprio nome come marchio, tali fattori non costituiscono tuttavia elementi validi per escludere che tale segno distintivo tragga indebito vantaggio da un marchio anteriore che, tra l’altro, ha avuto accesso alla qualifica di rinomanza in epoca ben più risalente.

Inoltre, la Cassazione si sofferma su un aspetto di precipua importanza: se di giusto motivo si deve parlare, allora esso richiede che l’uso del segno contestato debba avvenire anteriormente al deposito del marchio anteriore o, quanto meno dell’acquisizione della sua notorietà, che esso sia effettuato in modo serio ed effettivo e, soprattutto, che esso sia avvenuto in buona fede da parte del suo titolare.  

Invero, l’esame del bilanciamento degli interessi in gioco non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio anteriore, che è quella di garantire l’origine del prodotto.

Perciò non ci si può limitare ad attestare la sussistenza di una notorietà in campo artistico e musicale del nome da cui è composto il segno successivo per attestare la sussistenza di un giusto motivo a legittimare l’utilizzo di tale segno come marchio.

Inoltre, fanno notare gli Ermellini, non si è tenuto conto della corretta ratio dell’articolo 8, comma III. Tale disposizione ha la funzione di consentire la registrazione del nome di persona e dei segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, all’avente diritto o con il consenso di questi. Al contrario, l’articolo 8, comma III C.p.i. non contiene alcuna disciplina concernente la regolazione dei conflitti tra marchi già registrati, i quali rimangono disciplinati dalle regole ordinarie.

Alla luce di queste argomentazioni, la palla passa di nuovo alla Commissione dei Ricorsi, alla quale è demandata la responsabilità di valutare la vertenza alla luce delle considerazioni espresse dalla Corte di Cassazione in favore di Automobili Lamborghini.

La pronuncia della Corte di Cassazione, ammettiamolo, ha il sapore di un déjà-vu.
Non è la prima volta che un personaggio noto tenta di utilizzare o registrare il proprio nome o cognome come marchio.

Vicende analoghe avevano già animato i casi “Fiorucci” e “Morellato”, da noi approfonditi in un precedente contributo (Un nome, una garanzia). In entrambe le controversie, il nodo centrale era sempre lo stesso: il confine tra il diritto all’uso del proprio nome e il diritto esclusivo su un marchio preesistente che quel nome già incorpora.

Anche allora, la Suprema Corte, con sentenza con sentenza n. 10826/16 (il cui contenuto è stato confermato per un caso analogo che ha visto protagonista lo stesso Elio Fiorucci, con la sentenza n. 10298 /2020) rigettò le argomentazioni del celebre stilista Elio Fiorucci, titolare del marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci”.

Dopo aver interrotto ogni rapporto con la società omonima, titolare dei marchi anteriori “Fiorucci”, lo stilista sosteneva di poter continuare a utilizzare liberamente il proprio cognome come segno distintivo.

La Cassazione, tuttavia, affermò che, “l’utilizzazione commerciale del nome patronimico deve essere conforme ai principi della correttezza professionale e, quindi, non può avvenire in funzione di marchio, cioè distintiva, ma solo descrittiva, in ciò risolvendosi la preclusione normativa per il titolare del marchio di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica del loro nome; ne consegue che sussiste la contraffazione quando il marchio accusato contenga il patronimico protetto, pur se accompagnato da altri elementi”. Ciò, affermano i Giudici, discende dall’art. 21 CPI, secondo cui il titolare di un marchio non può vietare al terzo l’uso del suo nome nell’attività economica “purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale”. E ancora: “[…]una volta che un segno costituito da un certo nome anagrafico sia stato validamente registrato come marchio, neppure la persona che legittimamente porti quel nome può più adottarlo (come marchio) in settori merceologici identici o affini”.

Come nel caso Lamborghini, anche qui la Corte riconobbe che il marchio “Fiorucci”, ormai divenuto iconico e capace di attrarre il mercato, rendeva difficile giustificare usi concorrenti o evocativi non autorizzati.

Un ragionamento analogo è stato seguito nel caso “Morellato”, in cui il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 10 maggio 2016, poi confermata nei successivi gradi di giudizio, aveva escluso la buona fede del soggetto che aveva adottato e registrato un marchio identico, pur costituendo esso il proprio nome anagrafico, osservando che «la notorietà del segno Morellato rendeva inevitabile l’associazione da parte del pubblico».

Da questi precedenti si ricava un principio oggi ribadito con forza anche nel caso Lamborghiniil diritto al nome non è assoluto.

Laddove esista un marchio anteriore rinomato, il suo uso successivo in ambito commerciale può essere legittimamente limitato, poiché, se consentito liberamente, costituirebbe un illecito sfruttamento parallelo della reputazione e dell’attrattiva del marchio originario.

In definitiva, la sola presenza di un marchio notorio, dotato di forte radicamento e indiscutibile identità distintiva come quello “Lamborghini”, è sufficiente a escludere la buona fede nell’utilizzo o nella registrazione di un marchio patronimico successivo. Come nelle migliori favole, c’è sempre una preziosa morale da apprendere sul finale: nel mondo dei marchi, come in quello della musica, non basta portare un cognome leggendario per guadagnarsi il palco principale.