Autore: Stefano Ferro

Articolo pubblicato in Bugnion News n.27 (Marzo 2018)

Il marchio è un elemento fondamentale per definire l’identità di un’azienda nel mercato globale. La modifica di un marchio, anche nel caso di un restyling che cambi solo in minima parte l’aspetto grafico conservando intatta la parte denominativa, è un passaggio che viene compiuto con una certa cautela perché qualsiasi cambiamento può mettere a rischio l’avviamento acquisito sul mercato.

A volte però cambiare il marchio è opportuno in presenza di vincoli linguistici o culturali. Il marchio che non ha alcun significato, o che ha un significato positivo, nel luogo in cui ha sede l’azienda può essere associato ad un significato offensivo, o comunque negativo, in un’altra lingua o in un altro contesto culturale. Può capitare poi che il mercato di destinazione non sia materialmente in grado di comprendere il marchio, a causa della diversità di alfabeto o di altri vincoli di tipo linguistico.

Il problema si pone in modo particolare per l’Estremo Oriente, area che negli ultimi anni è diventata strategica per le imprese italiane specie a causa dell’enorme importanza assunta dalla Cina. La Cina utilizza, come è noto, un sistema di scrittura in ideogrammi, e lo stesso vale per Giappone e Corea del Sud. E’ il caso che le nostre aziende cambino i loro marchi per andare incontro ai consumatori di quei mercati o ha più senso investire al fine di aumentare la riconoscibilità del marchio originale, espresso in caratteri latini?

La risposta è diversa a seconda che si parli di Cina, da una parte, o di Giappone e Corea del Sud, dall’altra. In Giappone e Corea del Sud, infatti, ogni ideogramma corrisponde ad un suono o ad una successione di suoni, senza specifico significato. Non è sempre possibile, a causa delle regole fonetiche locali, traslitterare un termine italiano in modo esatto (“mascarpone”, ad esempio, per i consumatori giapponesi diventa più o meno “ma-su-ka-poo-ne”), però il risultato di questo tipo di traslitterazione è quello di aumentare la facilità di pronuncia per il consumatore locale, senza che ciò implichi l’acquisizione di un nuovo significato o altre conseguenze particolari in termini di appeal del marchio.

Il problema si pone in termini diversi per la Cina. Ogni sinogramma, infatti, è associato non solo ad un suono ma anche ad un significato, e la traslitterazione non comporta quindi solo un adattamento della pronuncia ma anche l’attribuzione al marchio traslitterato di un significato che è dato dalla combinazione dei singoli elementi. Il cinese, in tutte le sue varianti, è caratterizzato da un’ampia varietà di suoni per cui ad una sillaba (ad esempio alla prima sillaba “ma” dell’esempio precedente) possono essere associati diversi sinogrammi a seconda della lunghezza della vocale o del tono utilizzato. Se il marchio originale corrisponde ad una parola di senso compiuto che sia traducibile in cinese si può scegliere di proteggere come marchio la traduzione in cinese del termine, che quasi sempre avrà un suono molto diverso dalla parola in lingua originale. Se invece, come avviene nella maggior parte dei casi, l’obiettivo è quello di conservare per quanto possibile l’assonanza fonetica rispetto al marchio in caratteri latini, si dovrà individuare una combinazione di sinogrammi che abbia un significato positivo e comunque non in contrasto con il messaggio che il marchio intende veicolare.

In Giappone e Corea del Sud quindi, tenendo conto anche del fatto che l’alfabeto latino viene letto agevolmente dalla maggioranza della popolazione, il deposito del marchio corrispondente alla traslitterazione in caratteri locali è opportuno quando sul mercato si utilizza anche quella versione del marchio, o quando la traslitterazione comporta un’alterazione sostanziale del marchio originale e quindi dà origine ad un marchio foneticamente diverso rispetto a quello originale. Negli altri casi si può ritenere che il marchio in caratteri latini offra una protezione sufficiente contro eventuali operazioni di disturbo compiute da terzi non autorizzati.

Per quanto riguarda la Cina, invece, il deposito del marchio traslitterato in sinogrammi è da consigliare o quanto meno da valutare con molta attenzione. Secondo le linee guida del locale Ufficio Marchi, infatti, il marchio in caratteri latini è protetto contro la sua esatta riproduzione in caratteri latini o poco più: una combinazione di ideogrammi che riproduca esattamente (almeno sotto il profilo fonetico) il marchio originale non viene di solito considerata simile a quest’ultimo. A questo punto la domanda è: quale marchio in sinogrammi depositare? L’ipotesi più semplice è quella in cui il distributore locale segnali che i consumatori “storpiano” già il marchio utilizzando una determinata combinazione di sinogrammi: in quel caso il marchio da depositare è già individuato, sempre che ovviamente la combinazione di interesse non abbia un significato negativo. Qualora non esista una traslitterazione già in uso, invece, si dovrà creare una combinazione ex novo, che si avvicini al marchio originale sotto il profilo concettuale (ad esempio Apple che diventa “ping guo”, cioè “mela”) oppure fonetico (ad esempio Ferrari che diventa “fa la li”), sempre evitando di incappare in significati negativi.

© BUGNION S.p.A. – Marzo 2018