Autore: Vieri Canepele

Ci sono diverse novità, e alcune conferme, che riguardano le procedure di nullità e decadenza, che, dall’inizio di quest’anno, possono proporsi contro marchi registrati in Italia di fronte all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM).

I vantaggi

Tali procedure sono un’interessante alternativa, almeno sulla carta più rapida (al massimo 24 mesi) e meno onerosa della via giurisdizionale, in quanto il diritto dovuto all’atto di deposito dell’azione ammonta ad Euro 500 (oltre ai diritti di bollo). In definitiva, circa la metà del contributo unificato dovuto qualora l’azione venga proposta in tribunale. Ma, per parola stessa dell’ufficio, diversamente da quanto previsto per la conciliazione in sede di opposizione amministrativa, in questo caso non sono previsti rimborsi neppure nel caso in cui la vertenza venga amichevolmente risolta.

Azione amministrativa vs giudiziaria

Insomma, le parti ora possono viaggiare su un “doppio binario”: da un lato l’autorità amministrativa, dall’altro il tribunale.

Tuttavia, non si tratta di un doppio binario simmetrico, in quanto non tutti i motivi di nullità e decadenza previsti dall’ordinamento e dal codice della proprietà industriale possono essere sottoposti all’esame dell’ufficio marchi.

In particolare, devono rimanere di competenza del tribunale quelle azioni di nullità fondate ad esempio sull’articolo 8.3 CPI, quindi nomi e segni notori, oppure le azioni basate su violazioni di diritti autorali o di marchi di fatto che hanno acquisito notorietà generale. Al contrario, con la riforma del codice della proprietà industriale entrata in vigore alla fine di agosto di quest’anno, ha ottenuto riconoscimento come motivo di nullità invocabile quello della lesione dell’immagine e/o della reputazione dell’Italia.

Le tempistiche

Inoltre, si devono tener presenti i rigidi termini di produzione documentale che, diversamente dall’omologa azione proponibile in sede europea, coincidono con quelli di deposito e non sono normalmente procrastinabili.

Ciò significa che non soltanto tutte le argomentazioni a supporto della nullità dovranno essere presentate al momento del deposito dell’istanza, ma anche che tutti gli allegati a dimostrazione delle proprie tesi e quelli relativi alla legittimazione dell’istante e ai poteri del mandatario, se esiste, rimangono dovuti entro gli stessi termini, senza possibilità di eccezione, sembra neppure relativamente ad errori materiali.

Cosa cambia

L’ulteriore novità del secondo filone di norme entrato in vigore ad agosto 2023 è quella di aver espressamente vietato la cosiddetta parcellizzazione dei motivi in azioni successive. Ciò in quanto l’intera procedura è stata prevista come meccanismo deflattivo e di più rapida definizione delle liti e, dunque, la normativa richiede che tutti i motivi ‘omogenei’ che potevano essere proposti ad una certa data, lo siano all’interno di una medesima azione e non possano essere utilizzati come base di attacco per azioni distinte e che si succedono nel tempo. Del resto, tale divieto era anche già previsto a livello europeo. Diverso, evidentemente, il caso di motivi ‘eterogenei’ di attacco, ad esempio l’uno di nullità relativa e l’altro di decadenza, per i quali non vale evidentemente questo divieto.

Correlata alla parcellizzazione, è la questione del cumulo dei motivi di attacco all’interno della stessa azione. Tanto in questo nuovo tipo di azioni italiane quanto già a livello europeo, non è possibile cumulare all’interno della stessa istanza motivi di decadenza e di nullità. Qualora ciò avvenga, l’ufficio italiano inviterà l’istante a scegliere una sola base di attacco. Rimane invece del tutto possibile cumulare nella stessa azione motivi di nullità assoluti e relativi oppure più motivi di decadenza.

Sempre perché queste azioni sono state concepite come meccanismo deflattivo dei carichi giurisdizionali, la normativa prevede tanto la possibilità di conciliare con un periodo di cosiddetto cooling off, quanto quella di poter richiedere una sospensione congiunta dei termini del procedimento fino ad un massimo di 24 mesi. L’intento è quindi evidente, in quanto nelle procedure di opposizione italiane, ad esempio, la facoltà di sospensione dei termini, ancorché su richiesta congiunta, non è prevista. L’ultima considerazione doverosa riguarda le ipotesi di sospensione del procedimento, che può verificarsi a seguito e in ragione di diverse circostanze. In realtà, molti dubbi riguardano il termine trimestrale previsto per la prosecuzione del procedimento e, in particolare, il dies a quo della decorrenza, dato che le norme in vigore fanno riferimento, ad es. in caso di attacco al marchio usato come base di nullità, alla data di inoppugnabilità del provvedimento o di passaggio in giudicato della pronuncia che ha causato la sospensione.

Il rischio

Come l’Ufficio Marchi ha avuto modo di condividere, un’interpretazione rigorosa delle norme porterebbe all’estinzione di buona parte dei procedimenti, dato che la comunicazione della cessazione della causa di sospensione è rimessa alla diligenza delle parti (che potrebbero avere anche interesse a non comunicare l’esito dell’azione che ha dato origine alla sospensione) e, pertanto, non è detto che il termine trimestrale sia rigorosamente rispettato. Manca infatti un canale preferenziale di comunicazione tra i tribunali italiani e l’ufficio dei marchi. Anche la sentenza di liquidazione giudiziale di una delle parti potrebbe essere comunicata con grande ritardo rispetto all’emissione della stessa.

E allora l’orientamento di buon senso, condiviso dall’Ufficio, è quello di far decorrere il trimestre per la prosecuzione dalla data in cui viene dato atto nella procedura UIBM della cessazione dell’effetto sospensivo.