Articolo pubblicato in Bugnion News n.41 (Aprile 2020) – Ascolta la versione Audio

Ha sollevato un notevole clamore la notizia, uscita il 15 marzo scorso su Welt am Sonntag e subito divenuta – è il caso di dirlo – “virale”, secondo la quale gli Stati Uniti d’America, su iniziativa del presidente Donald J. Trump, avrebbero avanzato un’offerta miliardaria all’azienda tedesca CureVac per l’acquisto di un brevetto su un vaccino contro il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2), al fine dello sfruttamento esclusivo dell’invenzione da parte degli USA. A stretto giro, sono state rese pubbliche le reazioni contrarie e risentite del ministro tedesco dell’economia Peter Altmaier e di uno dei maggiori azionisti di CureVac, il miliardario Dietmar Hopp, più noto per essere l’esuberante patron del club calcistico dell’Hoffenheim, mentre sull’account Twitter di Richard Grenell, ambasciatore statunitense in Germania, veniva pubblicato un post di smentita.

In questo articolo, chiariremo i fatti dai quali ha avuto origine questa notizia, spiegheremo quali opzioni legali avrebbe l’autore di “The Art of the Deal” se volesse realmente negoziare per gli USA l’acquisto in esclusiva dei diritti di sfruttamento del presunto vaccino e cercheremo inoltre di comprendere se vi possa essere una sostanza geopolitica ed economica dietro quella che, per usare un’espressione cara allo stesso Trump, sembrerebbe essere una “fake news”, apparentemente diretta a dipingerlo come un “cattivo” dei film di James Bond.

CureVac è un’azienda con sede a Tubinga, in Germania, specializzata nello sviluppo di farmaci basati sull’RNA messaggero (mRNA), la molecola che trasferisce le istruzioni dai geni (DNA) ai ribosomi, le strutture del nucleo cellulare dove avviene la sintesi delle proteine. Recentemente, CureVac ha avviato una sperimentazione di un vaccino mRNA contro la rabbia tramite la quale, ha fatto sapere l’azienda, ha acquisito conoscenze utili allo sviluppo di un vaccino in grado di contrastare il nuovo Coronavirus, del quale potrebbe essere pronto un “prototipo” in pochi mesi.

Il 2 marzo scorso, l’esecutivo americano ha incontrato, alla Casa Bianca, i delegati di diverse aziende operanti nel settore farmaceutico e biotecnologico, attive nella ricerca di un trattamento per la COVID-19. Tra gli altri, era presente anche lo statunitense Daniel Menichella, amministratore delegato di CureVac da circa due anni.  Mercoledì 11 marzo, CureVac ha reso noto, tramite comunicato stampa, la sostituzione di Menichella con il tedesco Ingmar Hoerr, che è stato tra i fondatori dell’azienda; retrospettivamente, si tratta di un avvicendamento quanto mai simbolico, considerando che quattro giorni dopo usciva la notizia sull’ipotesi di offerta di acquisto dei diritti esclusivi sul vaccino da parte degli USA, peraltro confermata anche dal New York Times. Fin qui i fatti nudi e crudi, ma la domanda che ci siamo posti tutti è: il presidente americano potrebbe realmente acquistare in qualche modo i diritti di sfruttamento della tecnologia anti COVID-19 di CureVac e per di più averne l’esclusiva mondiale, posto ovviamente che l’azienda tedesca fosse interessata all’affare? Di seguito, proviamo a rispondere vagliando le opzioni offerte a Trump dal sistema di tutela della proprietà intellettuale.

CureVac può vantare di aver sviluppato centinaia di invenzioni tutelate da brevetti depositati in diverse parti del Globo, ma non è al momento noto che essa abbia depositato alcun brevetto per la tutela di un vaccino contro il nuovo coronavirus. D’altro canto, di norma, le domande di brevetto restano segrete per 18 mesi dopo la loro presentazione e pertanto, in via puramente teorica, potrebbe effettivamente esistere una domanda di brevetto su questa tecnologia che non sia ancora accessibile al pubblico.

Iniziamo con l’esaminare il caso in cui CureVac abbia realmente depositato una domanda di brevetto sul vaccino, cosa che al momento non pare probabile ma che non è di principio impossibile; in dettaglio, supponiamo che abbia depositato una prima domanda nazionale tedesca in attesa di estenderne poi la tutela all’estero tramite corrispondenti domande di brevetto nei vari paesi di interesse. In questo caso, gli USA potrebbero in linea di principio acquistare la domanda tedesca e il relativo “diritto di priorità”, cioè la facoltà di presentare presso gli Uffici Brevetti dei paesi esteri rispettive domande volte a tutelare la medesima invenzione, retrodatando la loro efficacia legale, per ciò che concerne la validità, alla data di deposito della domanda originaria, ovvero, nella nostra ipotesi, quella per il brevetto tedesco. Dopodiché, gli USA potrebbero estendere tale domanda in tutti i Paesi affetti dal morbo o che potrebbero esserlo e poi scegliere a loro discrezione ove consentire la produzione e l’offerta al pubblico del vaccino realizzato in accordo con l’invenzione. Questa prima opzione avrebbe l’inconveniente che diversi ordinamenti giuridici nazionali prevedono strumenti legali che consentono allo Stato, in casi di eccezionali – e una pandemia potrebbe rientrare tra questi – di permettere la riproduzione, altrimenti illecita, di un’invenzione coperta da brevetto; di questa possibilità, parliamo nel nostro articolo COVID-19 ED ESPROPRIAZIONE che trovate in questa stessa newsletter. È dubbio invece che l’Ufficio Brevetti e Marchi Tedesco possa disporre, in questo caso, la segretazione per motivi di sicurezza nazionale della domanda di brevetto, prevista nell’ordinamento di quasi tutti gli stati, che imporrebbe il divieto di rendere noto il suo contenuto, poiché si può sostenere che un vaccino non è una minaccia alla sicurezza del Paese come lo sono armi nucleari, batteriologiche o destinate agli attacchi informatici, ecc…

Ipotizziamo ora che CureVac non abbia ancora depositato alcun brevetto a tutela del vaccino. In questo caso, Trump potrebbe opzionare o acquistare, in base al suo stadio di sviluppo, il know how tecnologico segreto di CureVac che rende o renderà l’azienda tedesca in grado di sviluppare un vaccino. Ovviamente, lo scopo sarebbe quello di mantenerlo permanentemente segreto – sul modello della formula della Coca Cola, per intenderci – e renderlo noto solo a fidate industrie farmaceutiche statunitensi, sotto vincolo di riservatezza, così da poterlo sfruttare in esclusiva per gli USA. Questa strategia funzionerebbe solo se sul vaccino, che inevitabilmente finirebbe nelle mani di aziende concorrenti e di Stati stranieri, non si potesse operare un reverse engineering per ricavarne il procedimento di fabbricazione e se effettivamente in Germania e USA il segreto fosse fedelemente mantenuto da tutti i soggetti coinvolti; naturalmente, nelle circostanze attuali, l’ipotesi che tale know how resti davvero riservato è del tutto implausibile.

Infine, gli Stati Uniti potrebbero decidere di comprarsi la CureVac e, con essa, tutta la proprietà intellettuale, compresi sia il portafogli brevettuale sia il know how tecnologico dell’azienda. In questo scenario, che combina e semplifica le due ipotesi sopra considerate, Trump si troverebbe senza dubbio contro il Governo tedesco che eserciterebbe il cosiddetto “golden power” oppure metterebbe in campo il suo potere politico di dissuasione per impedire l’acquisto.

Probabilmente, per cercare di comprendere se la notizia abbia un fondo di verità, è utile guardare alla vicenda con un approccio misto, che tenga cioè conto al contempo dei diritti della proprietà intellettuale, della geopolitica e della struttura finanziaria delle aziende di alta tecnologia come CureVac.

Il principale investitore e azionista di CureVac è il già menzionato Dietmar Hopp che controlla la società tramite la Dievini Hopp Biotech Holding. CureVac ha inoltre ricevuto finanziamenti da: Bill and Melinda Gates Foundation (USA), Eli Lilly and Company Foundation (USA), Landeskreditbank Baden-Württemberg-Förderbank (GER), LBBW Asset Management Investmentgesellschaft (GER), Baillie Gifford (GB), Chartwave (GB), Coppel Family (MEX), The Vanguard Group (USA), Boehringer Ingelheim (GER), Commissione Europea, DH Capital (USA), OH Beteiligungen (GER) e Leonardo Venture (GER).

Sebbene la gran parte dei finanziatori e partner industriali di CurVac sia tedesca, si può comprendere come la presenza tra gli investitori di nomi di grosso calibro della finanza e della filantropia americana possa portare gli Stati Uniti a considerarsi uno stakeholder non irrilevante. Naturalmente, i diritti di sfruttamento di una invenzione realizzata dall’azienda tedesca sono l’oggetto di specifiche clausole negli accordi che regolano i rapporti tra gli investitori e la CurVac, ma la sostanza della questione è il fatto che molti attori del mondo delle alte tecnologie raccolgono finanziamenti da soggetti di diversa nazionalità, alcuni dei quali si aspettano di poter partecipare in qualche modo ai risultati della ricerca da loro sovvenzionata. In un periodo storico in cui si assiste al riaffermarsi dell’ideologia identitaria dello stato nazionale e in cui è in corso una grave pandemia, molti paesi si adoperano per fare i propri interessi pensando soprattutto al riposizionamento nello scenario del dopo virus. D’altro canto, questo è anche il senso degli aiuti in termini di risorse e operatori sanitari, assolutamente provvidenziali, che il nostro paese ha ricevuto da Cina, Russia, Cuba, Albania, prima e da Stati Uniti, poi. Infatti, al di là della solidarietà da parte di queste nazioni, che è senza dubbio reale e sentita, per Cina e Russia è stata l’occasione di esercitare il proprio soft power sull’Italia. Pertanto, si comprende come poter disporre dei diritti di sfruttamento, esclusivi o meno, di una cura potenziale contro il nuovo coronavirus, che può anche significare un accesso privilegiato alle forniture di vaccino o la scelta di utilizzare un impianto di fabbricazione collocato in un paese piuttosto che in un altro, ha una rilevanza geopolitica enorme.

Più in generale, si deve osservare che i diritti di proprietà intellettuale, soprattutto nei settori tecnologici più avanzati, come le biotecnologie, l’elettronica – si pensi al caso dello standard 5G – o ancora le tecnologie che interessano i cambiamenti climatici, sono uno strumento di potere, neanche troppo “soft”, che avrà un peso sempre maggiore nelle competizioni e alleanze tra le nazioni.

© BUGNION S.p.A. – Aprile 2020