Prima pubblicazione dell’articolo su World Trademark Review magazine n. 64 poi tradotto per Marchi & Brevetti Web

Le legislazioni e i tribunali dell’UE stanno prestando maggiore attenzione allo sfruttamento dell’avviamento associato ai marchi d’impresa famosi e rinomati da parte di terzi, soprattutto in ragione dell’aumento dei tentativi di beneficiarne a titolo gratuito. Questo tema è oggetto di particolare preoccupazione in Italia, patria di alcuni dei marchi più prestigiosi al mondo nel campo della moda e del design.

Quadro normativo
Il quadro giuridico dell’UE e quello dell’Italia in materia di marchi d’impresa famosi e rinomati sono strettamente allineati con quello della comunità giuridica internazionale su questo tema delicato, principalmente (seppur non in via esclusiva) nell’ambito della Convenzione di Parigi e dell’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPs), operante sotto il controllo dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Ai sensi dell’art. 6bis della Convenzione di Parigi, che stabilisce che un marchio d’impresa può essere conosciuto in un territorio, con riferimento a determinati prodotti, anche se non è registrato, la domanda di registrazione di un marchio simile per prodotti affini andrebbe respinta laddove vi sia prova del rischio di confusione. Inoltre, ai sensi dell’art. 16(3) del TRIPs, l’art. 6bis si applica anche a prodotti e servizi non affini laddove:

l’uso del marchio d’impresa successivo indichi un legame con il titolare del marchio rinomato;
vi sia la probabilità di ledere gli interessi del titolare del marchio rinomato.
Analogamente, l’art. 5(2) della direttiva UE sui marchi d’impresa (89/104/CEE, ora 2008/95/CE, abrogata a sua volta dalla direttiva n. 2015/2436 a decorrere dal 15 gennaio 2019) prevede una protezione particolare contro la diluizione dei marchi d’impresa per effetto di un utilizzo non autorizzato da parte di terzi o di un tentativo di ottenere la registrazione di marchi d’impresa ‘identici o simili al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio’ a un marchio dell’UE.

Gli artt. 12(1)(e) e (f) del Codice della proprietà industriale italiano sanciscono che un marchio d’impresa è privo di novità laddove sia simile a un marchio già notoriamente conosciuto ai sensi dell’art. 6bis della Convenzione di Parigi – per prodotti o servizi anche non affini – quando l’uso del marchio successivo senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi.

Più precisamente, l’art. 20(1)(c) del codice stabilisce che il titolare di un marchio d’impresa ben noto registrato ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica un segno identico o simile al marchio ben noto per prodotti o servizi anche non affini, se la denominazione successiva consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.

Giurisprudenza

Il primo caso in cui la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) – e successivamente numerosi tribunali italiani – ha trattato questo argomento è stato General Motors Corp c. Yplon (Causa C-375/97). General Motors ha definito un concetto di notorietà così ampiamente condiviso da essere ancora applicato a 20 anni di distanza: ‘Occorre rilevare che la prima condizione della tutela ampliata prevista dall’art. 5, n. 2, della direttiva viene espressa, in tale norma, con l’espressione «er renommeret» nella versione danese, «bekannt ist» nella versione tedesca, «χαίρει φήμης» nella versione greca, «goce de renombre» nella versione spagnola, «jouit d’une renommée» nella versione francese, «gode di notorietà» nella versione italiana, «bekend is» nella versione olandese, «goze de prestigio» nella versione portoghese, «laajalti tunnettu» nella versione finlandese, «är känt» nella versione svedese e «has a reputation» nella versione inglese’ (Causa C-375/97, par. 20).

In Davidoff c. Gofkid (Causa C-292/00), la CGUE ha aggiunto argomentazioni più complete relativamente alla più ampia protezione dei marchi riguardanti prodotti o servizi non simili:

Si deve ricordare che, contrariamente all’art. 5, n. 1, della direttiva, l’art. 5, n. 2, di questa non impone agli Stati membri di introdurre nel loro diritto nazionale la tutela da esso stabilita. Esso si limita a concedere loro la facoltà di introdurre siffatta tutela. Qualora ci si sia avvalsi di tale facoltà, i marchi che godono di una notorietà beneficiano quindi tanto della tutela conferita dall’art. 5, n. 1, della direttiva quanto di quella stabilita dall’art. 5, n. 2, della stessa. L’art. 5, n. 2, della direttiva consente di accordare ai marchi notori una tutela rafforzata rispetto a quella prevista dall’art. 5, n. 1. La tutela è rafforzata quanto ai prodotti e ai servizi nei confronti dei quali essa si applica, nel senso che il titolare può essere autorizzato a vietare l’uso di un segno identico o simile al suo marchio per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali il marchio è registrato, vale a dire in situazioni in cui è esclusa la tutela conferita dall’art. 5, n. 1, che si applica soltanto per i prodotti o servizi identici o simili. (Causa C-292/00, paragrafi 18-20.)

Queste due decisioni costituiscono il punto di origine di un approccio più strutturato a livello dell’UE e a livello nazionale, anche da parte delle corti italiane.

Ad esempio, in You-Q BV c. Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno – Apple Corps Ltd (Causa C-294/12) si afferma: ‘It must also be pointed out that certain marks may have acquired such a reputation that it goes beyond the relevant public as regards the goods or services for which they were registered and that, in such a case, the relevant section of the public as regards the goods or services for which the later mark is registered may make a connection between the marks at issue, even though that public is wholly distinct from the relevant section of the public as regards the goods or services for which the earlier mark was registered’ [Occorre altresì sottolineare che taluni marchi possono avere acquisito notorietà ben oltre il pubblico interessato ai prodotti o ai servizi per i quali essi sono stati registrati e che, in tale eventualità, è possibile che il pubblico interessato ai prodotti o ai servizi per i quali è registrato il marchio posteriore associ i marchi in questione l’uno all’altro anche ove detto pubblico sia completamente diverso dal pubblico di riferimento per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato il marchio anteriore] (par. 68).

Le corti italiane applicano tuttora tali nozioni cosicché le sentenze emesse corrispondono perfettamente alle summenzionate decisioni della CGUE oppure contengono citazioni da esse nelle rispettive argomentazioni.

In Theofanis Papadas c. Gianni Versace SpA (Sentenza 2471/2016, 25 febbraio 2016), il Tribunale di Milano si è concentrato sull’elemento VERSACE del marchio in questione: ‘ex art. 20 lett. c) CPI, l’uso del segno ‘Versace 1969 Abbigliamento Sportivo’ consentirebbe [a Theofanis Papadas] di trarre indebitamente vantaggio dalla rinomanza dei segni di [Versace SpA] e contemporaneamente ne pregiudicherebbe la forza distintiva e la capacità di essere portatore di un messaggio rilevante nel giudizio del pubblico […], sfruttandone le potenzialità evocative’.

La giurisprudenza italiana fornisce ampie interpretazioni delle decisioni della CGUE. In particolare, si afferma che: ‘Le norme comunitarie (e poi quelle nazionali) hanno inteso tutelare il diritto esclusivo sul segno come elemento attrattivo e comunicazionale, impedendone l’appropriazione ogni volta che questa possa determinare […] un indebito vantaggio per l’usurpatore o un pregiudizio al titolare. [Inoltre,] esistono vari livelli di rinomanza, che va dai segni noti alla generalità della popolazione a quelli solo largamente accreditati presso un segmento del pubblico dei consumatori, cui si accompagnano [pertanto] diverse estensioni della tutela […] Il diverso livello di rinomanza incide sull’onere della prova […].’

Il medesimo concetto è stato affermato anche dal Tribunale di Roma in Dolce & Gabbana Srl c. Pelletterie Di Gregorio Srl (Causa 55745/11, 12 gennaio 2015), in cui il giudice ha rilevato che: ‘Nel caso di marchi d’impresa rinomati, ivi inclusi marchi famosi come Dolce & Gabbana […], la legge offre una protezione molto più ampia rispetto alla semplice identità/affinità di prodotti e servizi. [I diversi standard di somiglianza fuorviante applicati ai marchi d’impresa rinomati] si applicano anche a tutte le circostanze in cui l’appropriazione indebita da parte di terzi potrebbe invece determinare un vantaggio improprio per l’usurpatore e un pregiudizio al titolare del marchio in questione.’

Conclusione

Ai sensi del quadro normativo e delle decisioni di cui sopra, appare chiaro come la giurisprudenza italiana sia allineata con le decisioni della CGUE e di altre corti nazionali dell’UE in materia di protezione di marchi d’impresa famosi e rinomati.

Novembre 2016