Autore: Claudio Balboni

… ED A QUELLE CHE DOVRANNO ESSERE ADOTTATE IN ESECUZIONE DELLA DIRETTIVA

Articolo pubblicato sulla Rivista dell’Ordine dei Consulenti in Proprietà Industriale N.1/2016

Prima di dare il via al fiume di parole che seguono, mi si permettano solamente due specificazioni:

  1. disclaimer: la trattazione che segue è frutto di un’analisi non troppo approfondita (quasi superficiale) e molto rapida (come purtroppo siamo costretti a fare spesso nella nostra professione) conseguente alla sola lettura dei testi normativi del Regolamento e della Direttiva, quindi mi si perdonino per eventuali inesattezze;
  2. affronterò prima le modifiche apportate al Regolamento, per poi passare a quelle introdotte Direttiva, per il semplice motivo che il primo entrerà in vigore (o alla data di pubblicazione di questo Notiziario forse lo sarà già) prima della seconda, che invece sarà frutto di recepimento da parte degli Stati membri.

Venendo a noi, come ormai risaputo, a ridosso delle trascorse festività natalizie, è stata pubblicata l’attesa riforma del Regolamento sul marchio comunitario (Regolamento (UE) 2015/2424) nonché la Direttiva 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi.
Il Regolamento è entrato in vigore per la maggior parte delle disposizioni il 23 marzo 2016, mentre per una seconda parte di queste entrerà in vigore il 1 ottobre 2017.
Oltre a novità di carattere formale, come il cambio del nome dell’UAMI (che diventerà ‘Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale’) e del marchio comunitario (che sarà ‘marchio dell’Unione Europea’ o marchio ‘UE’) si possono riscontrare anche novità di carattere sostanziale, che ad un rapida scorsa possono essere riassunte come segue.
All’articolo 4 l’obbligo di “rappresentazione grafica” è stato sostituito dall’obbligo di “rappresentazione nel registro […] in modo da consentire […] di determinare […] l’oggetto della protezione”. L’innovazione è sicuramente volta ad agevolare e rendere più facilmente conoscibile la registrazione di marchi non tradizionali, che hanno sempre sofferto del limite dato dalla difficoltà di rappresentare graficamente gli stessi. Per quanto concerne i marchi di forma, l’articolo 7.1.e sancisce il divieto di registrazione, non solo dei marchi composti dalla “forma” del prodotto, ma anche di quelli composti esclusivamente da “altra caratteristica” che sia imposta dalla sua natura, che sia necessaria ad ottenere un risultato tecnico o che dia un valore sostanziale al prodotto.

L’art. 8.4bis introduce i titolari di DOP o IGP tra i legittimati a presentare opposizione.

Gli articoli 8.5 e 9.2.c specificano una lacuna legislativa che la giurisprudenza aveva già provveduto a colmare, sancendo per tabulas che il marchio notorio ha protezione “a prescindere dal fatto che i prodotti o servizi [del marchio che contesta] siano identici, simili o non simili”.

All’articolo 9.3, tra i diritti conferiti dal marchio, si trova la facoltà del titolare di impedire l’uso del marchio come nome commerciale, denominazione sociale o come parte di essi, il suo uso nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità e l’uso nella pubblicità comparativa, in maniera contraria alla direttiva 2006/114/CE.

Il punto 4 del medesimo articolo permette di impedire il transito di merci nella UE che rechino un marchio identico o confondibile. Si tratta di un diritto che cessa se il titolare del marchio UE non riesce a dimostrare di avere diritti che impediscano al detentore dei prodotti la loro commercializzazione nel paese di destinazione finale.

Tra i limiti del diritto di marchio troviamo, all’articolo 12, che questo titolo non consente di contrastare l’uso del nome o dell’indirizzo di una persona fisica, di segni o indicazioni non distintive e l’uso del marchio su pezzi di ricambio.
L’articolo 13.1 prevede che il diritto di marchio si esaurisca con la prima immissione in commercio fatta, non solo nella Comunità Europea, ma nel più ampio Spazio Economico Europeo.

Sicuramente meritevole di nota è la specificazione introdotta dai primi commi dell’articolo 28, nei quali, facendo proprie le parole della celeberrima sentenza IP Translator, il legislatore accolla al depositante l’obbligo d’identificare i prodotti ed i servizi in modo chiaro e tale da permettere alle autorità ed ai terzi di comprendere su cosa si estenda la protezione, sancendo anche che i termini impegnati per la rivendicazione merceologica dovranno essere interpretati letteralmente.
Assai discutibile è invece il tristemente atteso articolo 28.8, che obbliga, in evidente spregio al sacrosanto principio dell’irretroattività delle leggi, i titolari dei marchi depositati dall’entrata in vigore dell’istituto del marchio comunitario (aprile 1996) alla data della sentenza IP Transaltor (giugno 2012), nel caso abbiano depositato marchi per l’intestazione della classe, a specificare entro il 24/09/2016 quali prodotti intendano concretamente proteggere. A mio sommesso avviso, la scelta di estendere ai vecchi marchi comunitari le nuove prescrizioni è assolutamente deprecabile. Innanzitutto perché la prassi di depositare le intestazioni complete della classe merceologica al fine di ottenere protezione su tutti i prodotti astrattamente ricadenti nella stessa, era stata ufficializzata dalla comunicazione 4/03 del 16/06/2003 del Presidente dell’UAMI: non si trattava pertanto di una scelta arbitraria del depositante (o del suo consulente), ma di un’indicazione espressamente data dall’Ufficio.
In secondo luogo per il brevissimo termine dato ai depositanti per “rimediare”.

In terzo luogo per il fatto che la norma in questione permetterebbe al titolare di “vecchi” marchi comunitari designanti l’intestazione della classe, di rivendicare solo ed esclusivamente quei prodotti che alla data del deposito erano contenuti nella versione analitica della classificazione di Nizza. Che ciò sia corretto è assai opinabile. Infatti leggendo (la versione italiana ed inglese) della comunicazione 4/03 non è assolutamente chiaro che il deposito dell’intestazione di una classe permettesse di avere protezione “solo” sui prodotti contenuti nell’elencazione analitica della Classificazione di Nizza in vigore al momento del deposito.
Nella comunicazione 4/03 si legge “le 34 classi di prodotti e le 11 classi di servizi comprendono L’INSIEME DI TUTTI i prodotti e servizi” (“the 34 classes for goods and the 11 classes for services comprise the TOTALITY OF ALL goods and services”, lettere maiuscole dello scrivente) e non solo i prodotti o servizi compresi nell’elencazione dettagliata di Nizza: il fatto che la classificazione in questione venga rivista periodicamente, inserendo prodotti o servizi che prima non erano specificati, è prova evidente che la stessa non sia esaustiva dello scibile esistente e conseguentemente non comprenda “l’insieme di tutti i prodotti e servizi”: da ciò si deve desumere che la ratio della comunicazione 4/03 era quella di permettere, rivendicando il semplice titolo della classe, la protezione anche su prodotti non contenuti nella lista dettagliata. Inoltre il secondo comma del paragrafo IV inizia con il termine “analogamente” (“similarly”) che lascia presumere che quello che lo segue sia una specificazione ulteriore del principio dell’onnicomprensività del titolo della classe, in precedenza sancito. Solo dopo tale termine è infatti esposto quello che oggi viene individuato come il perno di questa riforma, ossia che “l’utilizzazione di una determinata indicazione generale ripresa nel titolo della classe comprenderà tutti i singoli prodotti o servizi che ricadono sotto tale indicazione generale” (“the use of a particular general indication found in the class heading will embrace all of the individual goods or services falling under that general indication”). Per farla breve e per giungere alle conseguenze, se un soggetto aveva depositato un marchio comunitario rivendicando il titolo della classe, in un’epoca nella quale il proprio prodotto non era adeguatamente specificato nell’elenco dettagliato della classificazione di Nizza, ad oggi rischia di trovarsi privo di protezione.
(A fatica) andando oltre si nota che l’articolo 37 ha rettamente eliminato la possibilità di apporre dei disclaimers a parti del marchio.
L’art. 42.2 prevede che il termine per calcolare il quinquennio nel quale fornire prove d’uso, decorre dalla data del deposito o la data di priorità della domanda di marchio UE, e non più dalla ‘pubblicazione’ di quest’ultima.
D’interesse è pure l’art. 47 che prevede che il marchio non scadrà più l’ultimo giorno del mese di scadenza, ma il giorno esatto di tale mese, con la conseguenza che anche la mora andrà a scadere sei mesi dopo tale giorno.
È inoltre specificato che in caso di rinnovo, se le tasse sono pagate solo per alcune delle classi e non c’è altro criterio per determinare a quali classi si riferiscano le stesse, verranno rinnovate solo le classi nel loro ordine.
L’articolo 54 ha rivisto alcune aspetti relativamente alla preclusione per tolleranza, ma su di questo ritengo opportuno parlare alla fine di questo articolo, incrociandone le previsioni con quelle della Direttiva.
Di particolare interesse è anche l’articolo 56.3 che prevede che anche le decisioni dell’Ufficio siano atte a determinare il giudicato nei confronti dell’Ufficio medesimo. Chissà se questa norma potrà contribuire a limitare la sgradevole abitudine dell’Ufficio di non ritenersi in alcun modo vincolato dai propri precedenti.
Novità di rilievo si ravvisano anche nella disciplina del ricorso. Come noto sino ad oggi era estranea all’UAMI la disciplina del controricorso: se una sola delle parti ricorreva contro una decisione dell’Ufficio ed impugnava solo parte della medesima, alla controparte non era dato contestare altri aspetti di tale decisione. Oggi tale principio cambia e l’articolo 60.2 prevede che il convenuto possa chiedere la riforma di parte della decisione che lo stesso non abbia impugnato, qualora la controparte presenti un ricorso ed impugni parte diversa della decisione; tuttavia se il ricorrente rinuncia al ricorso, l’efficacia delle richieste del convenuto viene meno. In sintesi il controricorso è possibile fintanto che il ricorrente non decide di abbandonare il ricorso principale.

È stato poi soppresso l’articolo 62, eliminando la c.d. revisione pregiudiziale: procedura che dava la facoltà all’organo che aveva emesso la decisione, in caso di ricorso contro al medesima, di rivederla.
Dall’articolo 74 bis all’articolo 74 duodecies sono disciplinati i marchi di certificazione. Gli stessi potranno contraddistinguere le particolarità dei prodotti o servizi che siano connesse al loro materiale, al procedimento di fabbricazione degli stessi, alla qualità dei medesimi, alla precisione connessa alla loro produzione, ma mai dalla provenienza geografica dei medesimi. La presentazione della domanda per questi marchi è riservata a chiunque non svolga attività di fornitura dei prodotti o servizi rivendicati ed anche il trasferimento degli stessi può essere fatto solo a questi soggetti. Anche per questi marchi occorre che sia depositato il regolamento d’uso. Desta invece un po’ di perplessità il fatto che Ia domanda di marchio di certificazione sia respinta qualora lo stesso “non sembri” un marchio di certificazione: previsione che legittima anche il deposito di osservazioni di terzi. Da sottolineare infine che la trasformazione di un marchio di certificazione non può avvenire se lo Stato in cui si vuole trasformare lo stesso, non prevede tale tipologia di marchio.
Degno di nota è anche il fatto che l’istituto della prosecuzione del procedimento (articolo 82) è stato esteso anche al termine di cui all’articolo 42, ossia alla presentazione della memoria in sede di opposizione. Questo significa che se sarà spirato il termine per la presentazione della stessa, previo pagamento di una sovrattassa, sarà possibile comunque depositarla nei due mesi successivi.
L’articolo 137 bis estende poi la mediazione anche alle procedure di annullamento e di opposizione, anticipando temporalmente la stessa rispetto a quanto avveniva oggi (si ricorda che la medesima era possibile solo dopo che si fossero già pagate le tasse di ricorso). La stessa norma prevede anche la possibilità di attivare questa procedura indipendentemente dal fatto che sia pendente uno dei precedenti procedimenti, sempreché si tratti di controversie pertinenti al regolamento sul marchio UE od a quello sui modelli comunitari. Probabilmente queste previsioni renderanno più appetibile una procedura, che sino ad oggi non lo era particolarmente.
La novità di rilievo riscontrate nel Regolamento si concludono con l’obbligo dell’Ufficio di comunicare alla WIPO l’insorgere di eventuali cause di nullità o decadenza di un marchio UE che sia la base di un marchio internazionale. Tale obbligo sussiste nel periodo di dipendenza dell’internazionale dalla sua base ed è evidentemente volto a facilitare la caducazione dell’internazionale medesimo, in caso di attacco centrale.
Infine l’articolo 156 restringe il termine per presentare opposizione ad una designazione dell’Unione Europea effettuata in un internazionale, portandola da complessivi nove mesi (tre mesi decorrenti dopo i primi sei mesi dalla pubblicazione) a quattro mesi, ossia tre mesi decorrenti dopo un mese dalla pubblicazione della designazione della CE sul bollettino dell’Ufficio.
Infine sono state riformate le tasse, riducendo in modo importante quelle di rinnovo, e ritoccando quelle di deposito. Il nuovo sistema prevede infatti una tassa per la prima classe di € 850, una per la seconda classe, notevolmente ridotta, di € 50, ma dalla terza classe in avanti le tasse tornano a crescere ad € 150.
Ad avviso dello scrivente, si è persa l’occasione di intervenire su di un aspetto che si era palesato come problematico nel periodo post IP Translator, ossia al moltiplicarsi indiscriminato di prodotti nei depositi di marchio.
Se infatti è vero che nella rivendicazione merceologica il depositante è spinto ad elencare, non solo i prodotti di immediato interesse, ma anche quelli di potenziale interesse in un ambito temporale di medio termine, è anche vero che spesso si notano rivendicazioni merceologiche palesemente ed ingiustificatamente ampie, conseguenza proprio del fatto che l’intestazione della classe non copre più tutti i prodotti potenzialmente appartenenti alla stessa. Per questa 8 ragione, all’evidente scopo di evitare di “rischiare” di non rivendicare un prodotto, il depositante effettua talvolta rivendicazioni “fiume” di prodotti e servizi.
A mio avviso, il corretto recepimento della IP Translator sarebbe dovuto passare per una parallela introduzione di una tassa connessa ad ogni prodotto rivendicato: anche se bassa ed anche se, per esempio come avviene in Cina, da applicare solamente dopo un certo numero di prodotti, questa avrebbe sicuramente contribuito a rendere più chiaro, anche nel quinquennio nel quale non pende l’onere d’uso, l’ambito “effettivo” di monopolio al quale il marchio tende, oltre che a limitare rivendicazioni merceologiche ingiustificatamente ampie.

La Direttiva, oltre a prevedere alcune disposizioni speculari a quelle del Regolamento (che evidentemente è stato creato in conformità alla prima, che formalmente lo ha preceduto nella sua pubblicazione di un solo giorno) introduce alcuni aspetti di particolare interesse.

Le disposizioni che ritengo degne di nota sono quelle di cui agli articoli 9, 16, 38, 43 e 45.

Partendo dall’ultimo, si tratta della norma che ha confermato le ormai diffuse voci di corridoio, secondo le quali la nostra Nazione, come tutti gli altri Stati membri, entro il 14 gennaio 2023, dovrà prevedere una procedura amministrativa “efficiente e rapida” per la decadenza e la nullità di un marchio.
Mentre per il recepimento di questa disposizione l’Italia avrà sette anni, per recepire le altre di cui mi accingo a parlare, avrà meno tempo, infatti le stesse dovranno essere trasfuse in norme nazionali entro il 14/01/2019.
Venendo a queste, l’articolo 16 riguarda quegli Stati che prevedono una procedura di opposizione successiva alla registrazione. In questi casi lo stesso fa decorrere il termine per calcolare il quinquennio del non uso dal momento in cui il marchio non può essere più oggetto di opposizioni, o nel caso siano state presentate opposizioni, dal momento in cui la decisione che conclude l’opposizione è diventata definitiva: la differenza potrebbe essere rilevante qualora l’Ufficio nazionale non proceda tempestivamente alla registrazione, una volta scaduti i termini di cui sopra.
Di particolare attualità è invece l’articolo 38 che prevede che la data di deposito, che gli Uffici nazionali dovranno riconoscere, sia (giustamente) quella in cui la domanda è stata presentata. La medesima norma prevede che i singoli Stati potranno prevedere che per “convalidare” tale data sia necessario il pagamento di una tassa. In sintesi questa disposizione farà divenire illegittima l’attuale prassi dell’UIBM di riconoscere come data di deposito quella del giorno in cui viene pagato l’F24, obbligando il nostro Stato a riconoscere come data valida, quella del giorno del deposito.

L’articolo 43 prevede che gli Stati membri dovranno includere tra i legittimati a presentare opposizione anche “la persona autorizzata […] ad esercitare i diritti conferiti da una denominazione di origine o da un’indicazione geografica protetta”.
Infine l’articolo 9 prevede che la preclusione per tolleranza (la nostra convalida), che attualmente può essere fatta valere solamente dal titolare di un marchio registrato, in un futuro (non troppo lontano) potrà essere fatta valere dal titolare di un diritto su un marchio di fatto, di un diritto al nome, di un diritto all’immagine, di un diritto d’autore o di “un [altro] diritto di proprietà industriale”…se il nostro Stato si avvarrà di questa facoltà, il titolare di un diritto d’autore (per esempio) che per cinque anni abbia tollerato l’uso di una registrazione di marchio, di cui era a conoscenza, non potrà più domandarne la nullità.
Segnalo che non si tratta di un obbligo di recepimento a carico degli Stati, ma solo di una facoltà: il Regolamento, con la tecnica del rinvio alla normativa nazionale, si è avvalso di questa facoltà. In sintesi, se il nostro ordinamento recepirà questa disposizione, anche un marchio UE potrà convalidarsi rispetto ad uno dei diritti citati precedentemente.

Aprile 2016