Autore: Simone Milli

Articolo pubblicato in Bugnion News n.53 (Ottobre 2021)

L’intelligenza artificiale (AI), quando correttamente addestrata e programmata per lo scopo, è in grado di generare nuova conoscenza che, in particolari condizioni, si può estrinsecare in nuove soluzioni potenzialmente brevettabili.

Se la brevettabilità di tali creazioni si misura – per adesso – ancora con le metriche tradizionali consolidate e stabilite dalle normative di proprietà intellettuale a noi note, è invece un terreno legalmente nuovo quello che si apre dal punto di vista della titolarità da parte di una intelligenza artificiale, che potrebbe avere implicazioni anche su altri aspetti della normativa brevettuale.

Infatti, in tali creazioni frutto dell’opera di un algoritmo di AI, non esistono persone fisiche che siano a tutti gli effetti “inventori”; tale figura dell’inventore è ricoperta da un algoritmo, programmato da persone fisiche.

A bene vedere, in tali casi, è proprio l’algoritmo che, attraverso il suo funzionamento, crea in modo artificialmente intelligente la nuova soluzione, e la soluzione specifica non è merito del programmatore che ha generato ab origine la struttura algoritmica.

La materia è stata discussa per lungo tempo in differenti giurisdizioni, in particolare con riferimento alla famiglia di brevetti del Dott. Stephen Thaler.

Di recente, è arrivata in decisione la causa Thaler v. Commissioner of Patents davanti alla corte federale Australiana di Giustizia. La sentenza ha stabilito che DABUS, cioè un algoritmo di intelligenza artificiale ideato dal Dott. Stephen Thaler, può essere denominato inventore di una domanda di brevetto.

La corte ha raggiunto la decisione considerando in particolare il fatto che nella normativa il termine “inventore” non fosse limitato a singole entità umane e quindi non escludesse una entità tecnologica, come un algoritmo di AI e il fatto che l’attribuire tale tipo di inventorship ad un algoritmo di AI contribuirebbe in generale ad accrescere il progresso tecnologico in tale settore particolarmente innovativo.

La decisione è chiaramente aperta ad appello, e ci aspettiamo che con elevata probabilità l’Ufficio Brevetti Australiano depositi la richiesta di appello.

È questa certamente una decisione decisamente in rottura con i precedenti orientamenti dei tribunali di altri stati, in cui si era discussa la medesima materia da parte del Dott. Stephen Thaler.

Ma non è la sola decisione in tal senso.

Infatti, altrettanto recentemente, il Sudafrica ha concesso un brevetto, della stessa famiglia, al Dott. Stephen Thaler, nominando DABUS cioè un algoritmo di AI quale inventore.

Chiaramente, tali decisioni aprono un nuovo scenario, che potrebbe portare nel tempo a dover riconsiderare addirittura anche i criteri tradizionali di valutazione della brevettabilità.

Fino ad oggi, ad esempio, per la valutazione dell’attività inventiva, si assumeva la figura fittizia del “tecnico del settore”, considerando generalmente un progettista o tecnico del settore in questione, o al più un team in certi settori particolari.

Se ammettiamo una nuova tipologia di inventore, costituito da un algoritmo di AI, è probabile che con il tempo certi criteri di valutazione, almeno in certi settori, debbano essere adattati ai nuovi paradigmi.

Ad esempio, nel campo dell’informatica, potrebbe la figura fittizia del “tecnico del settore”, essere addirittura considerata non come una persona fisica ma come una entità astratta di intelligenza artificiale?

Sono questi interrogativi ad oggi aperti a scenari che non conosciamo ancora nella loro pienezza, ma che possiamo soltanto intuire.

Restano fermi sulle proprie posizioni, invece, gli Uffici Brevetti Statunitense ed Europeo, che hanno rigettato le domande del Dott. Stephen Thaler in quanto un algoritmo di AI non può essere, secondo i criteri dei due Uffici , nominato come inventore di una domanda di brevetto.

Le motivazioni addotte dagli Uffici Brevetti Europeo e Statunitense sono essenzialmente queste: la creatività di una invenzione è un atto umano che richiede il concepimento di una soluzione nella mente di una persona fisica, ed inoltre con la creazione nascono dei diritti, che un algoritmo di AI non può avere, non avendo una personalità giuridica.

Gli Uffici brevetti di Giappone, Cina, Corea, Germania, Francia ed Inghilterra hanno espresso infatti posizioni del tutto similari a quelle degli Uffici Brevetti Europeo e Statunitense per quanto concerne i diritti degli algoritmi di AI, negando la designazione come inventore ad un algoritmo di AI.

È  da considerare, quindi, che le decisioni di Australia e Sudafrica aprono uno scenario completamente nuovo ed inesplorato; resta da vedere se altri uffici, in futuro, seguiranno questa linea di pensiero.

Ma la breccia dell’intelligenza artificiale nel mondo dei brevetti è aperta.

© BUGNION S.p.A. – Ottobre 2021

Ascolta l'episodio del podcast Ascolta l'episodio del podcast