Autore: Claudio Balboni

Articolo pubblicato in ‘Notiziario dell’Ordine dei Consulenti in Proprietà Industriale’, N.1/aprile 2015 

Se affermare che un certo orientamento dottrinario o giurisprudenziale, od una certa prassi di un organo amministrativo non sia corretta è cosa abbastanza “facile”, non lo è altrettanto affermare che un dato normativo sia incongruente.
Sotto la lente di ingrandimento è l’indicazione del prodotto nel contesto di una domanda di disegno o modello comunitario.
Come noto, tra gli elementi che determinano la regolarità di una domanda di registrazione per disegno o modello vi è il fatto che venga indicato di che “prodotto” si tratti. L’indicazione del prodotto deve essere fatta scegliendo prevalentemente uno (o più) termini dalla classificazione di Locarno (art. 3, Reg. CE 21/10/2002, n. 2245/2002). La normativa comunitaria (art. 36.6 del Regolamento 6/2002) stabilisce tuttavia che l’indicazione del prodotto non influisca sulla portata della protezione del disegno o modello in quanto tale.

In sintesi, dalla norma in questione si deduce fondamentalmente che l’indicazione del prodotto dovrebbe avere solamente finalità amministrative. In sintesi, considerando che prodotti appartenenti alla medesima classe di Locarno possono essere oggetto di un deposito multiplo, al quale vengono applicate tasse progressivamente inferiori, se uno di questi modelli non indica un prodotto appartenente alla classe di Locarno propria degli altri appartenenti alla medesima domanda multipla, non potrà fare parte di quel medesimo deposito e conseguentemente lo stesso non potrà beneficiare della riduzione di tasse di cui sopra.
Questo è quello che il legislatore afferma… da un lato.
Dall’altro lo stesso legislatore prevede che per valutare novità e carattere individuale occorra fare riferimento agli “ambienti specializzati del settore interessato” oltre che, nella valutazione del carattere individuale, si debba fare riferimento alla percezione che del design abbia un certo “utilizzatore informato”.
Orbene pare lecito chiedersi come si debba procedere, o meglio quali siano i criteri per individuare determinati “ambienti specializzati” o di un certo “utilizzatore informato”.
A modesto avviso dello scrivente pare poco ragionevole ed obiettivo fare riferimento alle affermazioni rese dalle parti in causa.
Questo sia per l’ovvia parzialità (e pertanto dubbia attendibilità) di queste affermazioni, sia per la necessaria tutela dei terzi.
Quest’ultimo aspetto meriterebbe un’attenzione particolare, sicuramente maggiore a quella attribuita al calcolo delle tasse alla luce del quale deve essere stata scritta la disposizione di cui sopra.
Infatti, filosofeggiando un po’, un titolo di proprietà industriale costituisce un monopolio (su un segno, su un’invenzione o su un oggetto). Il monopolio in quanto tale è contrario ai principi comunitari e conseguentemente le normative che lo prevedono devono essere considerate come eccezioni al principio generale. Proprio in quanto eccezioni è necessario che i monopoli dalle stesse contemplati siano circoscritti e, soprattutto, che sia chiaro su cosa vertano.
In sintesi è opportuno che sia evidente dinnanzi ai terzi, che hanno i pubblici registri come unico strumento per individuare la portata di questo monopolio, che dai registri stessi (e solo da questi) si traggano gli estremi, il più possibile chiari e definiti, dell’estensione di questo diritto.

Questo principio pare in qualche modo accolto dalla normativa nazionale italiana, nella quale si fa riferimento al fatto che contestualmente alla domanda di registrazione può essere presentata una descrizione del modello e che, ex art. 25.7 Reg. Att. C.P.I. (D.M.13/01/2010 n. 33) “la descrizione, se presentata, può concludersi con una o più rivendicazioni in cui sia indicato, specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto di registrazione”. In questo caso al terzo che dovesse ispezionare la banca dati dell’UIBM potrebbe apparire evidente su cosa verta il monopolio rivendicato dal titolare del modello, in quanto è possibile che lo stesso sia menzionato nella descrizione presentata.
Diversamente a livello comunitario è previsto che, in sede di domanda, una descrizione può essere presentata, ma la stessa non viene pubblicata, anzi, ex art 14.2.d Reg. CE 21/10/2002, n. 2245/2002, la pubblicazione contiene solamente “la menzione del fatto che è stata presentata una descrizione”.

Questo implica che il terzo che consultasse la banca dati dell’UAMI per comprendere di che monopolio sia titolare un altro soggetto

— non potrà comprenderlo dalla descrizione del modello, in quanto la stessa non è pubblicata (e, ad esperienza dello scrivente, non è possibile vedere la stessa neppure chiedendo un’ispezione della banca dati in sintesi, si può sapere che c’è una descrizione, ma non si può sapere quale sia);
— non potrà comprenderlo dall’indicazione del prodotto, in quanto è positivamente stabilito che questa non influisce sulla portata della protezione.
In sintesi, il terzo potrà sapere che c’è un monopolio, ma non potrà sapere con certezza su cosa lo stesso verta.

La questione dell’indicazione corretta del prodotto e della sua valenza ha importanti risvolti anche se si considera il titolare del diritto.
Infatti è plausibile che un prodotto possa essere reputato privo di novità o carattere individuale (pertanto il relativo deposito come modello sarebbe nullo) se si facesse riferimento ad un’elencazione del prodotto piuttosto che ad un’altra.
A questo proposito si consideri che l’UAMI si avoca il compito di riclassificare un modello, se il richiedente utilizzi termini che non rientrino in “EuroLocarno” (cfr Direttive d’Esame al paragrafo 6.1.4.4, ove si afferma che “Quando il richiedente utilizza termini che non rientrano in EuroLocarno, nei casi più evidenti l’esaminatore sostituisce d’ufficio la formulazione utilizzata dal richiedente con un termine equivalente o più generale elencato nella classificazione di Locarno o in EuroLocarno.) Questo al solo scopo di “evitare la traduzione dei termini in tutte le lingue dell’UE, con conseguenti ritardi nel trattamento della domanda” (idibedm). In sintesi, per favorire la celerità della pubblicazione (a mio avviso già sufficientemente veloce) si sacrifica il diritto del titolare ad avere un titolo valido.
Alcuni esempi di mera fantasia potrebbero essere utili per comprendere la questione.

Potrebbe accadere che un soggetto sia interessato a proteggere una forma di packaging che intende applicare ad una determinata categoria di prodotti, per esempio, alimentari. L’utilizzatore informato e gli ambienti specializzati operanti nel settore alimentare sono numerosissimi, differenti e talvolta non interferenti l’uno con l’altro, cosicché un packaging già conosciuto in certi ambienti potrebbe essere assolutamente nuovo in altri. Talvolta anche la mera traslazione di settore merceologico potrebbe essere sufficiente a rendere individualizzante un determinato oggetto. In ragione di ciò indicare, ad esempio, “confezione per prodotti caseari” come prodotto e non semplicemente “confezioni per prodotti alimentari” (classe contemplata da EuroLocarno, e più generica, come vuole l’UAMI, della prima dicitura) potrebbe essere determinante per mantenere valido il relativo design.

Lo stesso dicasi nel caso ad esempio in cui si voglia proteggere una bottiglia destinata ad un pubblico e ad un settore particolare, per esempio, dedicata a barman per la preparazione di cocktails. La forma potrebbe essere simile a quella di altre bottiglie realizzate, in ipotesi, da tempo nel settore oleario. Se il deposito come modello fosse fatto rivendicando la generica classe di Locarno che individua come prodotto “bottiglie” il modello sarebbe facilmente annullabile, in quanto parametri per valutare la novità ed il carattere individuale dovrebbero essere considerati tutti i soggetti che siano utilizzatori generici di bottiglie, tra i quali dovrebbero ricadere necessariamente gli utilizzatori informati e gli ambienti specializzati del settore oleario.

Se diversamente il deposito fosse fatto impiegando una voce non appartenente ad Eurolocarno, come ad esempio “bottiglie per cocktail”, la valutazione dei requisiti di validità dovrebbe essere fatta avendo a riguardo esclusivamente alla presenza o meno di una siffatta forma negli ambienti specializzati e tra gli utilizzatori informati del settore “cocktail”.
Nonostante le disposizioni normative e regolamentari interne all’UAMI, la stessa Commissione di Ricorsi dell’Ufficio, dimostra di sposare l’impostazione di cui sopra quando, nella decisione R 84/2007-3, al punto 15, afferma che “Secondo la giurisprudenza di questa Commissione, l’utilizzatore informato va individuato a partire dalla tipologia di prodotti nei quali, secondo la domanda di registrazione, il modello stesso è destinato ad essere incorporato”. In tale caso, in un modello di automobile Ferrari in miniatura, era stato indicato come prodotto “automobile giocattolo” e conseguentemente la persona dell’utilizzatore informato era stata individuata in quella di un “ragazzo che gioca” e non in quella del “collezionista”, come sarebbe stato se l’indicazione del prodotto fosse stata “riproduzioni artistiche di automobili” o “automobili in scala ridotta da collezione” (crf. anche “Disegni e Modelli”, Philipp Fabio, CEDAM 2012, pag. 35).

Oltre che un cambiamento di settore merceologico, l’attribuzione di una valenza non meramente amministrativa all’indicazione del prodotto implica un necessario cambiamento di approccio da parte dell’organo giudicante chiamato ad individuare chi sia l’utilizzatore informato. Per tornare all’esempio di prima, nel caso del “ragazzo che gioca” l’utilizzatore informato è sicuramente meno attento ai dettagli, mentre nel caso del “collezionista” l’utilizzatore è particolarmente incline a percepire ogni differenza del modello, con tutte le conseguenze che ne derivano in ordine alla validità ed alla contraffazione dello stesso. Pertanto il paradosso normativo non dispesa il depositante dall’adottare una adeguata indicazione del prodotto, anche in ragione del fatto che alcuni organi giudicanti stanno cercando di porre rimedio all’incongruenza legislativa, razionalizzando le proprie decisioni.

Aprile 2015