Articolo pubblicato in Bugnion News n.54 (Novembre 2021)

Il 22 settembre 2021 la Commissione dell’UE pubblicava in Gazzetta Ufficiale la richiesta di registrazione della denominazione “Prošek” come menzione tradizionale per un vino bianco croato, ritenendola ammissibile. La decisione ha fatto insorgere l’industria vitivinicola di qualità italiana che si appresta a depositare opposizione contro tale registrazione entro la fine di novembre, insieme alla Regione Veneto ed al suo agguerrito governatore Zaia.

L’ira funesta istintiva che l’atteggiamento dell’Unione Europea suscita è più che comprensibile; proprio la paladina delle DOP e IGP nostrane, che doveva difendere la nostra industria alimentare contro l’odioso “Italian sounding” che la affligge da anni, apre la strada alla registrazione di un termine che suona proprio come il nostro invidiato Prosecco.

Ma lasciamo da parte un attimo i sentimenti e cerchiamo di capire le ragioni dell’apparente cambio di rotta dell’UE e i motivi che hanno spinto la Croazia a richiedere la registrazione della menzione “Prošek”.

Lo spumante italiano Prosecco è il fenomeno mondiale di maggior successo nel settore enologico degli ultimi decenni. 8.000 produttori, 500 milioni di bottiglie immesse nel mercato mondiale nel 2020 (con l’export che rappresenta il 78% del totale), 2,4 miliardi di fatturato con una crescita esponenziale negli anni. In una parola, un boom.

Fonte: CONSORZIO DI TUTELA DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA PROSECCO

Il celebre vino italiano Prosecco deriva il suo nome dal toponimo storico, risalente almeno alla fine del 1300, di una cittadina nei pressi di Trieste e oggi ne costituisce un suo quartiere. Il paese di Prosecco veniva chiamato “Prošek” in sloveno durante la dominazione dell’impero austro-ungarico, e la traduzione campeggia ancora oggi nei cartelli stradali a dimostrazione che “Prošek” altro non è se non la traduzione di Prosecco. In tale territorio da sempre si produce vino come attestano incisioni, accordi commerciali, opere letterarie, ecc.

La Commissione Europea ha concesso la Denominazione di Origine Protetta “Prosecco” nel 2009 ma la prima DOP comprendente Prosecco risale addirittura al 1973. Non c’è quindi dubbio che il “Prosecco” sia una delle Denominazioni di Origine Protette Europee più conosciute e apprezzate nel modo.

Dall’altro lato abbiamo il vino bianco croato Prošek, più giovane del nostro Prosecco ma comunque centenario: le prime citazioni della menzione tradizionale Prošek risalirebbero al 1774. Si tratta di un vino da dessert, prodotto in Dalmazia, da soli 30 viticoltori, per un totale di meno di 3.000 bottiglie l’anno, vendute perlopiù in ambito domestico.

Da questi numeri, salta agli occhi il divario clamoroso di interessi economici in ballo da tutelare, e sorge spontaneo un lecito dubbio sul movente della richiesta croata di vedersi riconosciuto Prošek come menzione tradizionale in Unione Europea per una produzione di vino ad oggi esigua e locale. Un’altra differenza da notare è che mentre Prosecco è una Denominazione di Origine Protetta e quindi un diritto di proprietà intellettuale (IPR), il termine Prošek è solamente una “menzione tradizionale”, rientrante nella normativa sull’etichettatura, che gode di una tutela ben più limitata e certamente non è un diritto di proprietà intellettuale.

Tutto ciò premesso, la Commissione Europea difende la sua decisione di ammettere e pubblicare “Prošek” come menzione tradizionale per il vino dolce croato, sulla base dell’articolo 100 del Regolamento UE n. 1308/2013 che disciplina le DOP le IGP del vino e le menzioni tradizionali.

Tale articolo consente in certi casi la registrazione di un nome omonimo ad una DOP o IGP e recita: “La registrazione del nome per cui è presentata la domanda, che è omonimo o parzialmente omonimo di un nome già registrato in conformità al presente regolamento, tiene debitamente conto degli usi locali e tradizionali e di rischi di confusione”.

Lo stesso articolo 100, tuttavia, prosegue affermando che non può essere registrato “un nome omonimo che induca erroneamente il consumatore a pensare che i prodotti siano originari di un altro territorio …, benché sia esatto per quanto attiene al territorio, alla regione o al luogo di cui sono effettivamente originari i prodotti”.

Ma la Commissione Europea si giustifica ritenendo che sarà poi l’etichettatura delle bottiglie ad assicurare che non vi sia confusione tra Prosecco e Prošek, come dispone il comma 3 del medesimo art. 100 “Un nome omonimo registrato può essere utilizzato esclusivamente in condizioni pratiche tali da assicurare che il nome omonimo registrato successivamente sia sufficientemente differenziato da quello registrato in precedenza, tenuto conto della necessità di garantire un trattamento equo ai produttori interessati e della necessità di evitare l’induzione in errore del consumatore”. E aggiunge che i vini Prosecco e Prošek sono qualitativamente molto diversi, uno spumante italiano e un vino da dessert croato, e quindi non vi sarà confusione. Ma non sono proprio questi gli argomenti usati dai detrattori delle DOP/IGP e dai fautori dell’Italian sounding?

La “menzione tradizionale” è utilizzata a dire il vero in etichetta a tutto campo come un vero e proprio marchio. Le immagini delle bottiglie di Prošek parlano da sole. Siamo sicuri che il consumatore europeo (magari non italiano e non croato) non esperto di vini non potrebbe essere indotto a pensare che stia mettendo in tavola il famoso Prosecco di cui ha sentito parlare o comunque un vino ad esso simile?

Pur assumendo non vi sia rischio di confusione, ricordiamo che l’ambito di tutela delle denominazioni d’origine è ben più ampio e ricomprende anche i casi in cui sussiste anche solo un rischio di evocazione, che è cosa ben diversa dal rischio di confusione, come ci ha insegnato in svariate decisioni la stessa Corte di Giustizia Europea, che anzi ha via via allargato le maglie interpretative dell’evocazione per arrivare a colpire tutti i casi di parassitismo.

Vediamo quale dovrebbe essere in base al medesimo Regolamento comunitario 1308/2013 l’ambito di tutela di una DOP o IGP, come disciplinato dall’art. 103 che recita:

2. Le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette e i vini che usano tali denominazioni protette in conformità con il relativo disciplinare sono protette contro:

  1. a) qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto del nome protetto: i) per prodotti comparabili non conformi al disciplinare del nome protetto, o ii) nella misura in cui tale uso sfrutti la notorietà di una denominazione di origine o di una indicazione geografica;
  2. b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili;
  3. c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi al prodotto vitivinicolo in esame nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sulla sua origine;
  4. d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.”

E proprio lo scorso settembre, poco prima che la Commissione Europea ammettesse la richiesta di menzione tradizionale di Prošek, la Corte di Giustizia, con sentenza del 9 settembre 2021 nella causa n. C-783/19, confermava che il marchio spagnolo CHAMPANILLO (che significa “piccolo champagne” in spagnolo) usato per promuovere dei bar di tapas (e non per vino), poteva essere ritenuto in contrasto con la DOP CHAMPAGNE, allargando ancor di più l’ambito di protezione delle denominazioni d’origine a ricomprendere anche la tutela contro l’uso illecito non per prodotti comparabili ma addirittura per servizi (in questo caso servizi di ristorazione) e ribadendo ancora una volta che la denominazione protetta può essere tutelata come sancito dall’art. 103.2(b) anche in caso di “evocazione” della denominazione così come interpretata dalla stessa Corte di Giustizia nella sentenza Scotch Whisky, C-44/17 e cioè si può avere “evocazione” quando il segno contestato incorpori una parte di una DOP/IGP (PROSECCO-PROŠEK), oppure se vi è un’affinità fonetica e visiva tra il segno contestato e la DOP/IGP (PROSECCO-PROŠEK) ma anche se vi è solo una “vicinanza concettuale” tra i segni, e in ultima analisi in ogni caso in cui il consumatore europeo medio stabilisca un nesso mentale, sufficientemente chiaro e diretto, tra il termine utilizzato per designare il prodotto in questione e l’indicazione protetta. Inoltre, sottolinea la Corte, non rileva il fatto che l’evocazione non sussista per i consumatori di uno o due stati membri, dovendo avere riguardo all’intero territorio dell’Unione Europea ed è anzi sufficiente che tale evocazione sussista anche solo in un paese membro. Ma ancora la decisione CHAMPANILLO è importante perché la Corte chiarisce che, essendo il regime di protezione delle denominazioni d’origine un regime oggettivo, esso non richiede di dimostrare dolo o colpa, e prescinde dall’accertamento di un rapporto di concorrenza tra i prodotti così come dall’esistenza di un rischio di confusione, né è subordinato all’accertamento di un tentativo di concorrenza sleale.

Tenendo in mente le conclusioni della Corte di Giustizia, è lampante che, al di là della buona o mala fede dei produttori del Prošek croato (sulla quale comunque mi pare lecito qualche dubbio), la menzione tradizionale Prošek, usata in etichetta peraltro in funzione di marchio e proprio per un vino, quindi prodotto identico a quello tutelato con la DOP PROSECCO, sia evocativa di tale DOP perché ne incorpora una parte, ne costituisce la traduzione, per la somiglianza fonetica e visiva, e per la vicinanza concettuale, e come l’uso del termine Prošek tragga un indebito vantaggio dall’enorme reputazione della nostra DOP e questo ammesso e non concesso che non tragga addirittura in confusione il consumatore medio europeo, che non è solo quello italiano o croato magari più avveduto.

Non ci resta che augurarci di poter brindare presto, e con un buon bicchiere di Prosecco, alla vittoria dell’opposizione italiana contro la registrazione Prošek.

© BUGNION S.p.A. – Novembre 2021

Ascolta l'episodio del podcast Ascolta l'episodio del podcast