Articolo pubblicato in Bugnion News n.41 (Aprile 2020) – Ascolta la versione Audio

Da qualche settimana a questa parte siamo stati catapultati in una situazione di emergenza che mai avremmo immaginato. Ci siamo ritrovati di colpo in una dimensione degna di uno dei migliori episodi distopici di Black Mirror.

La parola COVID-19 o più comunemente CORONAVIRUS è ormai entrata prepotentemente nelle nostre vite e nel nostro linguaggio comune.

Questo microscopico aggregato di materiale biologico è stato in grado di minare le nostre certezze più radicate, anche quelle frutto di battaglie e conquiste lontane nel tempo: la libera circolazione delle persone, delle merci, il diritto alla privacy.

Si sa, in stato di “guerra”, la soppressione dei diritti personali, benché costituzionalmente garantiti, spesso soccombe in nome della tutela dell’interesse collettivo, previsto anch’esso dalle carte costituzionali, ma gerarchicamente più elevato.

In questo clima, in molti si stanno adoperando per far fronte alle nuove esigenze: sono in progetto nuove ed innovative tecnologie in grado non solo di localizzare i cittadini, ma anche di verificare se questi entrano in contatto con persone contagiate dal coronavirus, senza ricorrere alla attuale geolocalizzazione tramite smartphone e telecamere a circuito chiuso (ed i loro limiti in zone senza segnale o punti ciechi).

Parimenti, con uno sguardo al prossimo futuro, tutte le autorità preposte sono alla ricerca spasmodica di una cura, un vaccino, una terapia in grado di debellare il Covid-19 che ad oggi ha colpito tutti gli Stati di questo pianeta, così da poter tornare ad una vita quanto più simile possibile a quella che stavamo vivendo prima della pandemia.  Anche l’Agenzia italiana del farmaco ha avviato la sperimentazione di diversi rimedi contro il Covid-19.

Alla luce di quanto sopra si percepisce chiaramente che, ora più che mai, il mondo ad oggi chiede all’Inventore di adoperarsi per trovare soluzioni nuove ed originali a seri problemi tecnico-scientifici.

Peraltro, questo stesso mondo costellato da restrizioni potrebbe chiedere all’Inventore di aggiungere più o meno spontaneamente un po’ di “solidarietà” ai suoi sforzi intellettivi, rinunciando in parte a quel diritto di esclusiva ancorato ai titoli di proprietà industriale quali il brevetto.

Si ricorda, infatti, che titoli industriali come il brevetto costituiscono monopoli legali, concessi eccezionalmente per il fatto di costituire inter alia, un incentivo all’inventore ed il mezzo attraverso cui far accedere la collettività alle informazioni relative alle invenzioni.

Invero, attraverso l’espropriazione, si verrebbe ad affermare una solidarietà cosiddetta “forzata” del titolare di un brevetto e verrebbero a crollare il monopolio legale in cui si esplica il brevetto ed il concetto stesso di proprietà privata (art. 42 Costituzione): due delle certezze cristallizzate da tempo nella nostra società.

Ai sensi dell’articolo 141, I comma, C.p.i. la Pubblica Amministrazione può procedere all’espropriazione dei diritti inerenti a tutti i titoli di proprietà industriale ad eccezione del marchio (e, per analogia, anche il marchio di fatto, il nome a dominio, la ditta, l’insegna non sono espropriabili) per ragioni di interesse della difesa militare o di pubblica utilità.

A poter essere requisiti sono sia i titoli già concessi, sia quelli in corso di brevettazione o registrazione. In quest’ultimo caso, l’Autorità Pubblica acquisterà il diritto al brevetto o alla registrazione e la procedura volta alla concessione del titolo proseguirà o meno a sua discrezione.

Inoltre, la requisizione da parte dello Stato può avere ad oggetto il diritto nel suo complesso o solo quello di utilizzare l’invenzione nell’interesse dello Stato, per un periodo determinato di tempo che dovrà essere specificato nel decreto di espropriazione (ex art. 194 c.p.i.).

Qualora la Pubblica Amministrazione decida di sfruttare il brevetto nell’interesse dello Stato, verrà a crearsi una sorta di licenza obbligatoria in suo favore. In tal caso, peraltro, il titolare del diritto espropriato conserva la possibilità di sfruttarlo per soddisfare le proprie richieste provenienti da privati cittadini.

Benché la nostra legislazione non disciplini in modo eccessivamente dettagliato la requisizione statale dei titoli di proprietà industriale (e la giurisprudenza mancante non può che incrementare queste lacune), si segnalano comunque alcune rilevanti condizioni, a tutela dell’espropriato, a cui quest’ultima è subordinata:

  1. Ragioni di pubblica utilità

L’espropriazione può avvenire solo se ci sono motivi riconducibili alla pubblica utilità (oltre che di difesa militare, che qui, tuttavia, non verrà trattata).

Ciò significa che il provvedimento ablatorio, privativo o limitativo del diritto di proprietà industriale è possibile soltanto per ragioni di pubblico interesse, per gravi ed urgenti necessità pubbliche e/o di produzione nazionale.

È evidente che necessità di questo tipo potrebbero sorgere in una situazione di straordinaria emergenza pandemica come quella che stiamo vivendo. Lo Stato potrebbe requisire, ad esempio, brevetti inerenti a nuovi farmaci o trovati in grado di garantire spostamenti sicuri ai cittadini.

In fin dei conti, Canada, Cile, Ecuador, Israele e Germania hanno già preso provvedimenti emettendo una licenza obbligatoria su farmaci, vaccini e strumenti medici per il trattamento del Covid-19.

  1. Decreto Presidenziale

L’espropriazione deve essere sancita, assieme alla relativa durata, con l’emanazione di un Decreto Presidenziale che passa attraverso una procedura legislativa piuttosto articolata.

In particolare, il provvedimento di cui sopra viene emesso tramite Decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente, di concerto con i Ministeri delle Attività produttive, dell’economia e delle finanze, sentito il parere della Commissione dei Ricorsi.

Esso è pubblicato nel Bollettino Ufficiale, salvo che ciò possa creare pregiudizio ed è in ogni caso annotato nel Registro dei titoli di proprietà industriale dell’UIBM. (La segretazione dell’oggetto del titolo di proprietà industriale, si noti bene, è prevista soltanto nel caso in cui l’espropriazione avvenga per motivi di difesa militare, non per ragioni di pubblica utilità).

Una volta avvenuta la notifica del decreto a tutti i soggetti interessati, il diritto oggetto di requisizione viene acquisito dalla Pubblica Amministrazione, che da questo momento potrà sfruttarlo nei termini previsti, ma sarà altresì tenuta al pagamento dei diritti per il suo mantenimento in vita.

  1. Indennità

Il Decreto Presidenziale deve prevedere una giusta indennità in favore del titolare del diritto di proprietà industriale che lo ha subìto.

A tutela dell’espropriato, il legislatore ha stabilito soltanto che l’indennità deve essere conforme alla logica dei prezzi di mercato, tenuto conto del parere della Commissione dei Ricorsi. Nulla si dice, invece, in merito a parametri concreti con cui tale indennità debba essere stimata (ad esempio valore dell’invenzione, etc.).

Tuttavia, l’espropriato può dissentire rispetto al valore dell’indennità stabilito con Decreto. In caso di mancato accordo, l’indennità dovrà essere fissata da un collegio di arbitratori che procederà secondo equo apprezzamento.

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È chiaro che in un momento come questo, essere i titolari di un brevetto passibile di espropriazione non deve essere rassicurante, soprattutto in virtù della rinuncia, anche solo parziale, allo sfruttamento dei diritti esclusivi sulla relativa invenzione a cui si potrebbe essere indotti (benché opportunamente indennizzati).

Peraltro, se detto brevetto concernesse, ad esempio, il vaccino contro il coronavirus, significherebbe possedere una vera e propria arma per la conquista del Mondo, dal potenziale inestimabile, soprattutto in termini di profitto. Lasciare ad un privato la possibilità di gestire in autonomia un’arma del genere, potrebbe avere delle conseguenze deleterie per la comunità globale.

Nel caso in cui questo titolo fosse oggetto di requisizione statale, peraltro, le nazioni non alleate dello Stato espropriatore potrebbero non essere le prime a servirsi del vaccino (con conseguenze nefaste per la salute della propria collettività) o, comunque, potrebbero dover sottostare a condizioni di utilizzo non favorevoli.

Pertanto, ora più che mai, occorre ricordare che quella che stiamo vivendo non è una semplice guerra tra Stati, ma è una guerra della Terra contro un nemico invisibile, da cui potremo uscire soltanto quando tutti, anche l’ultimo cittadino di questo pianeta, saranno immuni al coronavirus.

Perciò, per porre fine a questo incubo si dovrebbe fare appello a quella “solidarietà più o meno spontenea” a cui abbiamo fatto cenno all’inizio di questa trattazione, rendendo liberamente disponibile alla collettività qualsiasi vaccino per il coronavirus.

 

© BUGNION S.p.A. – Aprile 2020