MEGLIO DELLA SPADA LASER DI STAR WARS!

Articolo pubblicato in Bugnion News n.26 (Gennaio 2018)

Qual è oggi l’innovativo e potentissimo mezzo di tendenza attraverso cui conquistare nuove fette di mercato con i propri marchi?
Naturalmente l’esercito degli influencer e dei blogger!
In un commercio caratterizzato ormai da una globale omogeneità qualitativa dei prodotti, in cui i potenziali di differenziazione funzionale dell’offerta sono appiattiti, il ruolo delle componenti simboliche risulta di gran lunga accresciuto.
In questa nuova realtà, pertanto, il marchio, non svolge più soltanto la funzione di indicare l’origine imprenditoriale di un prodotto o un servizio, ma è portatore di determinati valori che se percepiti correttamente dal consumatore, fanno del segno un mezzo di attrazione inestimabile.
Sarà quindi di essenziale importanza capire quali sono i valori prevalenti in un determinato momento storico ed assegnarli al proprio marchio, definendo così la sua brand identity. Essa è espressione della personalità dell’impresa, sintesi della cultura e dei valori aziendali e l’insieme dei tratti fondamentali che si vogliono trasmettere a chi utilizzerà i prodotti contrassegnati dal marchio.
Una volta definita la brand identity, attualmente, la tendenza è quella di trasmetterla, non più, o quanto meno, non solo attraverso la pubblicità tradizionale (es. volantini, brochure, spot televisivi, etc.), bensì attraverso messaggi promozionali lanciati da personaggi, a loro volta portatori di una determinata immagine e di una certa reputazione, spesso tale da fare di loro dei ccdd. ‘trend setter’. Si tratta, cioè, non di semplici celebrities, ma di veri e propri creatori di tendenze.
Solo qualche decennio fa li avremmo definiti testimonial, oggi invece il loro ruolo è un po’ più complesso e parliamo di influencer o di blogger (Food blogger, fashion influencer, instagrammer, youtuber etc.) e sono i nuovi attori della comunicazione commerciale online.
Possono essere personaggi più o meno celebri (in tale ultimo caso si parla spesso anche in termini di microinfluencer), l’importante è che abbiano una forza attrattiva sul web e siano in grado di collezionare quanti più ‘like’ possibili. Essi comunicano tramite le pagine web, oppure attraverso i social network con i loro blog, stories, hashtag, foto e video, esprimendo, direttamente o indirettamente, le loro recensioni sui prodotti/servizi contrassegnati da determinati marchi. Viene così effettuato il c.d. product placement, strumento di marketing straordinariamente efficace, che consiste nella promozione del prodotto e del relativo marchio attraverso il suo inserimento in modo apparentemente naturale all’interno di una narrazione che, in questo caso, avviene online.
Che l’influencer indossi un abito di un determinato stilista o che dimostri gli effetti benefici di una tisana dimagrante, ci sarà sempre un numero considerevole di consumatori internauti (seguaci e non) che si convincerà dell’opportunità di acquistare quel tipo di prodotto, spesso semplicemente desiderosi di entrarne in possesso per il solo fatto di essere stato sponsorizzato da quel tipo di influencer.
Ed ecco allora che la personalità, la reputazione e l’immagine del personaggio hanno contribuito a rafforzare la brand identity del marchio altrui.
Da quanto suesposto si ricava che, ebbene sì, la sponsorizzazione tramite influencer è una vera e propria arma, efficiente come la spada laser di Star Wars, in grado di tagliare qualsiasi ostacolo alla comunicazione, abbattere i muri della ritrosia del consumatore ed aprire così il varco alla trasmissione della brand identity.
Come ogni arma, però.. anche la spada laser è a doppio taglio.
Occorre quindi fare luce sulle molteplici ipotesi in cui, attraverso la pubblicizzazione dei propri prodotti tramite il cd. influencer marketing, si finisce per interferire con i diritti di esclusiva di terzi.
Talvolta, ad esempio, è il titolare del marchio medesimo a divulgare l’immagine (con tale intendendosi sia la foto che il video) raffigurante l’influencer nel momento in cui promuove il marchio, anche quando questa immagine è stata originariamente pubblicata dallo stesso influencer sul suo profilo social.
A tal proposito, si ricorda che il ritratto di una persona può essere riprodotto, esposto o messo in commercio soltanto con il consenso di quest’ultima (Artt. ss. 96 L. 633/1941 ed art. 10 Codice Civile).
Inoltre, l’immagine, quando è tale da consentire l’identificazione del soggetto interessato, costituisce un dato personale che, in quanto tale è garantito dalla normativa sulla privacy (D. Lgs. 196/2003).
Per evitare di pregiudicare tali diritti, si suggerisce di ottenere l’autorizzazione scritta a pubblicare la propria immagine da parte della persona ritratta (verificando se ci siano altri rapporti contrattuali che legano il testimonial a terzi brand e a quali condizioni).
Non ci dimentichiamo poi che, nel caso delle fotografie, esse sono spesso realizzate da un fotografo, e quest’ultimo è titolare dei diritti morali (paternità dell’opera) e patrimoniali (di sfruttamento economico) sulla foto stessa. (Artt. 12 ss. L. 633/1941)
La fotografia che ritrae un influencer è da ricondurre, salvo prova contraria ad una «semplice fotografia» (secondo l’art.92 L. 633/1941 sono semplici fotografie “le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo[…]»): pertanto, la durata dei diritti patrimoniali potrebbe estendersi fino a 20 anni dalla data di produzione della fotografia. Per evitare di pregiudicarli, si consiglia di ottenere l’autorizzazione scritta del fotografo a pubblicare la foto di cui è autore.
Che cosa accade, invece, nel caso in cui nell’immagine appaiano marchi di soggetti terzi, diversi da quello oggetto di sponsorizzazione?
Si pensi al caso, non infrequente, in cui il testimonial viene ritratto mentre indossa il capospalla con il marchio che si vuole promuovere, ma nel contempo indossa altri articoli di abbigliamento, o borse e accessori riportanti un marchio altrui o aventi un design di terzi, perfettamente visibili o riconoscibili.
L’inserimento non autorizzato di marchi o di design di titolarità di terzi costituisce indubbiamente una violazione dei diritti di esclusiva di questi ultimi (ex artt. 20, 22 e 41 C.p.i.) e può dar luogo ad un rischio di confusione per il consumatore destinatario dell’immagine.
Infatti, quest’ultimo può essere indotto erroneamente a ritenere che tutti i prodotti mostrati online siano riconducibili all’imprenditore del marchio sponsorizzato o ad altra impresa ad esso economicamente collegata.
Talvolta, tale rischio di confusione può essere incrementato dagli stessi commenti pubblici lasciati dagli internauti a margine dell’immagine, dai quali possono nascere dei fraintendimenti che sfuggono al controllo del titolare del brand.
Inoltre, l’impiego di marchi/design di terzi può integrare la fattispecie di concorrenza sleale (sanzionabile ai sensi degli artt. 2598 ss. Codice Civile) nella misura in cui, ad esempio, si verifichi un agganciamento parassitario al prestigio del marchio altrui indirettamente pubblicizzato.
Quanto detto sopra è ancor più vero allorquando sia lo stesso titolare del marchio promosso che inserisce intenzionalmente hashtag, tag o keyword contenenti il marchio di terzi, con il fine di attirare l’attenzione dei consumatori.
Comportamenti come quelli sopra descritti, al di là della configurazione di veri e propri illeciti, di fatto, impediscono ai terzi titolari dei diritti di proprietà industriale violati di scegliere le modalità attraverso cui pubblicizzarli, nonché i canali di distribuzione dei propri prodotti.
Pertanto, onde evitare di interferire con i diritti di terzi, si suggerisce al titolare del marchio sponsorizzato, di adottare i seguenti accorgimenti:

  • Non inserire, in relazione all’immagine (foto/video) pubblicata, termini o espressioni che lascino supporre al consumatore, anche solo indirettamente, che il marchio di terzi sia associato a quello dell’autore della pubblicazione;
  • Inserire a margine della foto un disclaimer con il quale si precisa quali siano i propri prodotti sponsorizzati e si escludono collegamenti con gli altri marchi presenti nell’immagine.

Es: «La Sig.na Tizia indossa una maglietta a marchio X. [eventuale descrizione del proprio prodotto). Il resto degli articoli che compone l’outfit della Sig.na Tizia non è riconducibile in alcun modo al brand X, il quale si dichiara estraneo a qualsiasi produzione e/o commercializzazione ad esso relativa».

  • In alternativa a quanto sopra, ottenere l’autorizzazione scritta a pubblicare l’immagine da parte del brand indirettamente pubblicizzato, rimane la soluzione migliore.

E’ altresì importante che il titolare del marchio non solo scelga con cura l’influencer (o il micro influencer/blogger/instagrammer etc…), dal punto di vista della propria strategia di marketing, ma che ne verifichi anche la correttezza della condotta dal punto di vista legale, in relazione non più con altri operatori commerciali ma con i consumatori, che sono i destinatari di tali comunicazioni.
E’ ormai un fatto notorio che non sia più tollerato da parte delle Autorità la diffusione attraverso i social media, da parte degli influencer, di messaggi che non rappresentano in modo trasparente il loro carattere promozionale, in quanto si tratta di una chiara violazione del divieto di pubblicità occulta.
Infatti, in tutti i casi in cui un endorsement da parte di un influencer nei confronti di un marchio realizzi una forma di comunicazione commerciale, questa deve fare attenzione alle norme relative alle pratiche commerciali scorrette.
Negli scorsi mesi l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) si è rivolta direttamente a personaggi famosi in tema di post e foto sui social network a carattere pubblicitario, affermando che “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore, ha evidenziato come il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand”.
L’Autorità ha quindi invitato formalmente i destinatari delle moral suasion a rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale, ove sussistente, di tutti i contenuti diffusi mediante social media, attraverso l’inserimento di apposite avvertenze, quali, a titolo esemplificativo e alternativo, #PUBBLICITA’ BRAND, #SPONSORIZZATO DA BRAND, #ADVERTISING BRAND, INSERZIONE A PAGAMENTO BRAND, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #PRODOTTO FORNITO DA BRAND.
Pertanto, il suggerimento ai titolari dei marchi è innanzitutto di regolare contrattualmente anche questo aspetto, facendo impegnare il testimonial al rispetto delle norme di legge, quindi sia quelle relative alla pubblicità, sia quelle relative alle pratiche commerciali scorrette.
Infatti, può accadere che il l’influencer prescelto comunichi le proprietà del prodotto oggetto di promozione in modo scorretto rispetto alle norme del Codice del Consumo, attraverso comunicazioni ingannevoli. Recenti sono i casi di vere e proprie bufere scatenatesi sui social Instagram e Twitter a seguito della promozione di prodotti dimagranti da parte di personaggi televisivi, accompagnati da toni enfatici e di dubbia veridicità o dimostrabilità. Comunicazioni identiche, trasmesse a mezzo televisivo o stampa, o addirittura sul packaging dei prodotti, avrebbe con alta probabilità comportato da parte dell’AGCM, o da parte dello IAP (istituto di autodisciplina pubblicitaria) l’avvio di un procedimento nei confronti dell’azienda produttrice. Invece, il territorio della comunicazione attraverso gli influencere i social media consente da un lato di arrivare immediatamente al consumatore, spesso privo di difese in quanto non si rende conto di essere di fronte a una pubblicità, e dall’altro di rendere molto più difficile per le autorità l’individuazione di pratiche commerciali scorrette.
Tuttavia, nonostante il diritto fatichi a stare al passo con le nuove forme di comunicazione della pubblicità e i mezzi delle Autorità non siano sufficienti per monitorare, è evidente che tale fenomeno sia nel mirino non solo dell’AGCM, ma anche dello IAP e del CODACONS. Quest’ultimo infatti ha dichiarato che ora “serve massima vigilanza” sul rispetto delle disposizioni dell’Antitrust, e monitorerà il comportamento sul web di artisti e personaggi noti, “chiedendo nei loro confronti maxi-sanzioni nei casi in cui proseguiranno con le pubblicità occulte a marchi commerciali”. La domanda che è lecito porsi e che attualmente non sembra essere chiara è, quali sono le conseguenze per i brand?
Ad avviso delle scriventi, sarebbe lecito da parte delle Autorità coinvolgere in prima battuta anche i titolari dei marchi oggetto di pubblicità, che potrebbero essere portati a dover dimostrare di aver chiesto all’influencerl’impegno al rispetto di tutte le norme sin qui menzionate. Quale prova migliore di un contratto firmato tra le parti? In caso contrario, le sanzioni, che da parte dell’AGCM possono arrivare fino a 5 milioni di euro, potrebbero essere comminate anche nei confronti dei titolari dei marchi.
La stipula di un contratto favorirebbe non solo il titolare del marchio nella fase successiva all’eventuale violazione di legge, ma anche a prevenire tale violazione e a non correre il rischio di veder cancellato/censurato il post promozionale, con inevitabili ripercussioni negative per la brand identity. 
Sul punto, persino l’associazione “Instagramers Italia”, Associazione nazionale che riconosce, rappresenta e tutela gli appassionati e i professionisti specializzati nella produzione di contenuti digitali, ha creato un codice etico per i Digital Content Creator (DCC), all’interno del quale vi è l’invito alla stipula di un contratto tra Cliente e DCC ed a rendere esplicita e chiara la natura promozionale dei contenuti pubblicati attraverso i propri canali.
Purtroppo tale codice difetta di dare indicazioni nel caso dei prodotti forniti in regalo dai brand, che è una pratica molto diffusa e che teoricamente non creerebbe alcun vincolo tra azienda a influencer. Tuttavia, come già indicato, sul punto l’AGCM è chiara, deve essere resa nota al consumatore la natura gratuita del bene fornito se mostrato sui canali dell’influencer.

VI INVITIAMO QUINDI A RIVOLGERCI AL NOSTRO STUDIO QUALORA DESIDERIATE RICEVERE SUGGERIMENTI E CHIARIMENTI IN MERITO AL MONDO DELL’INFLUENCER MARKETING

© BUGNION S.p.A. – Gennaio 2018