Solitamente, l’autorità adita per giudicare della sussistenza della contraffazione di un brevetto, si pronuncerà, nello stesso procedimento, anche sul correlato risarcimento dei danni, che verrà determinato in via equitativa, ove non sia possibile identificarne l’ammontare con rigorosa esattezza.

In altri termini, qualora sia accertata l’avvenuta contraffazione del diritto di proprietà industriale (c.d. an debeatur), potrà determinarsi, di conseguenza, anche il correlato ammontare dei danni subìti dal titolare di detto diritto, individuando, a tal fine, l’entità del danno emergente e del lucro cessante.

L’articolo 125 del Codice di Proprietà Industriale precisa che la liquidazione del danno deve essere effettuata prendendo in considerazione tutti gli aspetti pertinenti del caso, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione. Secondo tale disposizione, come preannunciato, è altresì possibile condurre una valutazione equitativa del danno, sulla base degli atti di causa e delle presunzioni che ne derivano.

Con specifico riferimento al lucro cessante sopra menzionato, occorre chiarire che esso consiste nei profitti che il titolare del brevetto non ha potuto conseguire a causa della condotta illecita del contraffattore. Trattandosi di un aspetto non attuale, benché ragionevolmente certo, sarà necessario valutarne l’entità con metodi quanto mai precisi, che prendano in considerazione anche parametri non concreti.

Il legislatore offre a tal fine un aiuto rilevante nella valutazione di detti parametri, impedendo di stimare il lucro cessante al di sotto di una determinata soglia. L’intento è quello di garantire un minimo obbligatorio a cui ha diritto il titolare del diritto violato.

In particolare, secondo l’articolo 125, II comma C.p.i., il lucro cessante deve essere comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso.

Il criterio di calcolo sopra descritto, è il così detto criterio della reasonable royalty (o royalty virtuale) e si aggiunge al metodo basato sul decremento di fatturato del titolare del brevetto o, in via residuale, a quello della retroversione degli utili realizzati dal contraffattore.

Occorre notare, a tal proposito, che il metodo di calcolo della royalty virtuale non mira ad applicare una sanzione o un provvedimento repressivo nei confronti del soggetto contraffattore.

La sua ratio è quella di garantire a colui che ha subìto la violazione dei propri diritti brevettuali di riappropriarsi di quei proventi che avrebbe ottenuto dallo sfruttamento dell’invenzione usurpata e che gli sono stati così negati.

A tal proposito, assume particolare rilevanza la pronuncia della Corte di Cassazione n. 20716 del 4 settembre 2017, con cui gli Ermellini hanno confermato quanto già statuito in tema di risarcimento danni dal Tribunale di Monza prima e dalla Corte di Appello di Milano poi, nel procedimento avviato da Hörmann KG Brockhagen (di seguito “Hörmann”) contro la società italiana Breda Sistemi Industriali S.p.A. (di seguito “Breda”).

I giudici di merito, in particolare, hanno ritenuto che una specifica versione della porta ‘Domus Line Sirio’ realizzata dalla società Breda sia interferente con due brevetti europei di titolarità di Hörmann, consistenti, in sostanza, in porte a pannelli scorrevoli che non si arrotolano su un rullo in avvolgimento, ma si dispongono orizzontalmente sul soffitto del vano di accesso. Si tratta, in altri termini, di portoni antipizzicamento.

Da tale interferenza è stato riconosciuto un danno a carico di Hörmann, sussistente in re ipsa: insito, cioè, nella stessa commercializzazione del prodotto.

Tuttavia, il fatto che, grazie alla sua capacità imprenditoriale, la ditta tedesca non abbia subito alcuna diminuzione del fatturato, ha condotto le autorità giudicanti a dichiarare insussistente il danno emergente.

Al contrario, la consistente richiesta di forniture di portoni antipizzicamento soddisfatta da Breda nel periodo di riferimento è stata considerata un indice rilevante del lucro cessante sofferto da Hörmann, per la valutazione del quale è stato applicato proprio il criterio della reasonable royalty. L’entità del lucro cessante è stata così calcolata, in via equitativa, al suo minimo ammontare, perché la portata innovativa del trovato di Hörmann è stata ritenuta dai giudici non considerevole.

Il Tribunale di Monza, confermato dalla Corte di Appello di Milano, ha riferito di non aver potuto attuare il metodo della retroversione degli utili perché Breda si è limitata a produrre dei tabulati riassuntivi dei propri proventi, omettendo invece di presentare fatture o altri documenti contabili richiesti in sede di sequestro, che sarebbero risultati sicuramente più idonei a dimostrare gli utili conseguiti.

Secondo Breda, la liquidazione del danno non avrebbe dovuto essere eseguita sulla base dei prospetti riassuntivi di cui sopra. Questa documentazione, secondo la società italiana, avrebbe dovuto essere impiegata esclusivamente per liquidare un danno quando lo stesso fosse già stato dimostrato tramite altri mezzi. Sulla base di questo motivo, pertanto, Breda ha presentato ricorso in via principale alla Corte di Cassazione.

Quest’ultima, tuttavia, lo ha ritenuto infondato e lo ha così respinto, considerando possibile l’utilizzo delle scritture contabili ai fini della dimostrazione della sussistenza del danno e, conseguentemente, della sua liquidazione.

In questa stessa sede, Hörmann ha presentato ricorso in via incidentale, contestando l’applicazione del criterio della reasonable royalty, per di più nella sua misura minima. Secondo la società tedesca, il giudice di merito avrebbe tralasciato di prendere in considerazione altri aspetti essenziali nella determinazione dell’ammontare del danno, quali, ad esempio: i profitti realizzati dal contraffattore, la lesione all’avviamento commerciale, lo sviamento della clientela, la mancata ripartizione dei costi di sviluppo sostenuti da Hörmann in relazione all’invenzione, poi usurpata, ed i danni non materiali sofferti dalla stessa.

A causa di impedimenti procedurali (il ricorso incidentale di Hörmann introduce una nuova questione di merito), la Corte di Cassazione non ha potuto pronunciarsi sul motivo di impugnazione suesposto.

Pertanto, la sentenza della Corte di Appello di Milano è diventata definitiva.

In questo contesto, occorre evidenziarlo, le scritture contabili presentate da Breda hanno svolto un ruolo fondamentale, in quanto ritenute insufficienti per poter applicare il criterio della retroversione degli utili.

Ciò ha condotto il giudice ad applicare il criterio della royalty virtuale per la determinazione in via equitativa del risarcimento danni in favore di Hörmann. Per questa ragione, alla società tedesca è stata riconosciuta una somma non certo considerevole.

A tal proposito, peraltro, si potrebbe eccepire che la portata innovativa del trovato contraffatto di titolarità Hörmann, ritenuta non particolarmente consistente dai giudici di merito, in realtà, avrebbe potuto essere trascurata alla luce di altre circostanze quali, ad esempio, il comprovato successo incontrato sul mercato dallo stesso prodotto contraffatto, indice certo di consistenti ed illegittimi profitti conseguiti da Breda.

Da quanto suesposto, comunque, si desume che l’applicazione del criterio di calcolo della reasonable royalty non implica l’attuazione di un sistema punitivo, bensì consente il riconoscimento di un risarcimento danni su base oggettiva, con lo scopo unico di eliminare le conseguenze negative della contraffazione che si ripercuotono sul mercato.