(VALORIZZAZIONE, PREVENZIONE, TRANSAZIONE)

Articolo pubblicato in Bugnion News n.25 (Novembre 2017)

Se “Un contratto per amico – Parte I” non fosse stato sufficientemente convincente, proseguiamo qui la nostra ‘opera di sensibilizzazione’ alla predisposizione di contratti per la regolamentazione dei diritti di proprietà industriale.

  1. “Il talento è una fonte da cui sgorga acqua sempre nuova.

Ma questa fonte perde ogni valore se non se ne fa il giusto uso.”
(Ludwig Wittgenstein)
Il contratto è quel mezzo senza il quale la valorizzazione dei diritti di proprietà industriale (equiparabili al talento, per riprendere la citazione in epigrafe) risulta estremamente difficoltosa. Per comprendere meglio la portata di tale funzione, proseguiamo la dissertazione tramite alcune esemplificazioni.
In materia di marchi, ad esempio, non è inconsueto che il titolare di un segno sia privo di risorse per sfruttarlo in modo proficuo oppure per estenderlo a settori merceologici o a territori diversi da quelli originariamente interessati.
In mezzo a questa tempesta, ci si può aggrappare al salvagente del contratto, in particolare a quello di licenza.
Grazie a tale accordo, il titolare (cd. licenziante), pur conservandone la proprietà ottiene che lo sfruttamento del segno sia effettuato da uno o più soggetti terzi (cc.dd. licenziatari), ricevendo in cambio il pagamento di un corrispettivo (sotto forma di somma una tantum, royalty o una combinazione delle due).
In tal modo, il valore del marchio aumenta attraverso: i) gli introiti percepiti dal licenziante, che possono essere impiegati proprio per investire ulteriormente sul segno; ii) la cd. brand extension, merceologica o territoriale; iii) l’accrescimento della reputation del marchio; iv) il rafforzamento della sua tutela.
Con riferimento a quest’ultimo punto si segnala che la licenza potrebbe rendere meno difficoltoso per il titolare provare l’uso concreto del segno in caso di contestazione da parte di terzi. Un marchio inattaccabile è un marchio sicuramente più ‘prezioso’.
La licenza di marchio può essere inserita, peraltro, in un’apposita clausola all’interno di accordi più ampli, quale potrebbe essere quello di distribuzione. In tal caso il contratto, oltre a disciplinare gli aspetti dell’acquisto e della rivendita dei prodotti da parte del distributore, potrà prevedere anche le modalità specifiche attraverso le quali quest’ultimo potrà utilizzare il segno che contrassegna detti prodotti.
Peraltro, i vantaggi della regolamentazione contrattuale si riscontrano, parallelamente, anche nel campo dei brevetti.
In questo caso, la licenza può venire in soccorso di quel titolare che non possa o non voglia attuare personalmente l’invenzione o espanderne la diffusione territoriale.
Tra l’altro, a poter godere del ‘vento favorevole della licenza’ è anche il licenziatario, che potrà accedere ad invenzioni sulle quali altri hanno compiuto lo sforzo di investimento (si pensi ai costi delle attività di ricerca e sviluppo) ed occuparsi così soltanto della loro commercializzazione, aprendosi eventuali nuovi sbocchi sul mercato e beneficiando dei relativi profitti.
La valorizzazione degli assets intangibili passa attraverso il contratto anche quando si tratta di know – how (per la definizione del quale si rimanda alla Direttiva (UE) n. 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016 e agli artt. 98 e 99 C.p.i.).
Le informazioni riservate conservano il loro valore fintanto che rimangono segrete. Pertanto, la potenziale perpetuità della loro protezione può avvenire anzitutto tramite i contratti di riservatezza (cd. Non Disclosure Agreement). Trattandosi, infatti, di diritti non titolati, sarà più facile azionarli nei confronti di terzi contrattualmente vincolati (tutela indispensabile quando non si possa ricorrere alla protezione offerta dalla normativa sulla concorrenza sleale, ad esempio, perché non sussiste un rapporto di concorrenza tra le parti).

  1.  “Il valore reale delle cose lo si capisce soltanto quando si perdono”

(Proverbio)
Occorre poi ricordare che il contratto rappresenta anche un efficace strumento di prevenzione delle vertenze. 
Tutti noi abbiamo assistito a tanti ‘matrimoni’ felici tra titolari di diritti di proprietà industriale ed utilizzatori degli stessi diritti… quasi quanti sono stati i successivi divorzi tra le stesse parti che hanno portato con sé aspri dissidi.
Gli effetti nefasti delle divergenze tra le parti potrebbero essere evitati attraverso una puntuale e preventiva disciplina contrattuale di tutti gli aspetti a tal uopo rilevanti.
Il contratto, ad esempio, consente ad una parte di proteggersi in modo efficiente dalle inadempienze dell’altra. Si pensi, tra le clausole più significative, a quella di risoluzione anticipata (ex art. 1460 c.c.) e a quella che prevede il pagamento di una penale (art. 1382 c.c.) in caso di inosservanza. Tali previsioni possono incentivare una parte ad non trasgredire le disposizioni contrattuali.
Inoltre, la parte che subisce la trasgressione può agire in giudizio (non solo di merito, ma anche e soprattutto cautelare) contro la parte contrattualmente inadempiente, godendo di un onere della prova decisamente “agevolato”. Chi subisce la trasgressione, infatti, dovrà provare soltanto la fonte (negoziale) del proprio diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza della sua usurpazione da parte di controparte. Quest’ultima, sarà considerata responsabile dell’inadempimento dell’obbligazione a meno che non provi che questo è dipeso da una causa ad essa non imputabile. La colpa dell’inadempiente, in altri termini, è presunta, benché sia ammesso la prova contraria (presunzione cd. iuris tantum).
Innegabilmente, la circostanza di cui sopra concorre a produrre un effetto deterrente nei confronti del potenziale trasgressore.
Per riprendere il proverbio citato in epigrafe, è proprio quando non si è stipulato che si comprende il valore reale del contratto.
In assenza di un accordo negoziale, la parte che subisce l’usurpazione dei propri diritti, dovrà limitarsi a contestare all’altra una responsabilità extracontrattuale (2043 c.c.) o, qualora, ne ricorrano i presupposti, una responsabilità per concorrenza sleale (ex art. 2598 c.c.), dovendo perciò assolvere ad un impegnativo onere della prova concernente, tra le altre cose, il danno subito, la condotta interferente del licenziatario ed il nesso causale tra questi due aspetti.
Un caso frequente è quello in cui il distributore si ritrovi ad essere accusato della vendita di un prodotto riportante un marchio interferente con i diritti di proprietà intellettuale di terzi.
In tal caso, la giurisprudenza vuole che anche il distributore sia chiamato a rispondere delle contestazioni di contraffazione.[1]
Tuttavia, egli potrebbe essere manlevato dal fornitore da ogni responsabilità nei confronti di terzi, se solo questo fosse espressamente previsto con apposita clausola in un accordo negoziale, impugnabile in un eventuale giudizio.
Un’altra vertenza ricorrente concerne il campo della comunione dei diritti brevettuali. Se il brevetto è di proprietà di più persone e le parti non disciplinano negozialmente la gestione dei diritti nascenti dal brevetto, questi ultimi saranno regolati dalle norme del Codice Civile relative alla comunione (art. 6 C.p.i.).
Le maggiori problematiche nascono proprio dal fatto che l’istituto della comunione previsto dal Codice Civile è tradizionalmente pensato per beni materiali e non immateriali come quelli di proprietà industriale.
Occorrerà integrare tali lacune legislative con le linee interpretative suggerite dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Queste ultime, tuttavia, non sono sempre uniformi, neanche nei loro indirizzi interni.
Difformità di orientamenti si registra, ad esempio, in relazione alla validità della domanda di brevetto presentata da un solo contitolare in assenza del consenso degli altri. Alcuni autorevoli esponenti della dottrina ritengono che il suo interesse debba prevalere su quello dei contitolari contrari, perché la brevettazione è uno strumento di conservazione della cosa comune nell’interesse di tutti (art. 6bis C.p.i.). Non si tratta, tuttavia, di un orientamento unanime.
Si pensi, poi, al caso del contitolare che voglia concedere una licenza ultra-novennale sul brevetto in contitolarità. Parte maggioritaria della dottrina sostiene che tale atto di concessione richieda la maggioranza semplice, in quanto assimilato ad un atto di ordinaria amministrazione. Parte della giurisprudenza, invece, è orientata per la maggioranza qualificata se si tratta di licenza non esclusiva (in quanto atto di straordinaria amministrazione) e per l’unanimità se si tratta di licenza esclusiva (in quanto locazione ultra-novennale).
Infine, perplessità sorgono nel caso del contitolare che sfrutti il brevetto in comunione nella totale inerzia degli altri contitolari. Quid nel caso in cui i contitolari inerti chiedano al contitolare ‘proattivo’ di pagare loro un corrispettivo per lo sfruttamento dell’invenzione? In fin dei conti, secondo autorevoli autori, il contitolare che abbia sfruttato autonomamente il brevetto ha potuto godere degli effetti positivi derivanti dall’assenza sul mercato degli altri contitolari inerti che sono, di fatto, suoi potenziali concorrenti. Essi, pertanto, avrebbero diritto ad un indennizzo. Non si tratta, peraltro, di un indirizzo unanime.
Orbene, dato che normativa, giurisprudenza e dottrina non forniscono strumenti soddisfacenti per interpretare con certezza fattispecie come quelle sopra indicate, va da sé che è opportuno giocare d’anticipo ed evitare il sorgere di situazioni controverse. Indovinate un po’ come? Regolamentare negozialmente tali fattispecie tramite un contratto!

  1. “Se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico”

(Giulio Cesare)
L’accordo è inoltre un mezzo di transazione che entra in gioco, quindi, quando le divergenze tra le parti sono già sorte, evitando che queste degenerino in ulteriori scontri sul piano sia giudiziale che amministrativo.
Avviare un procedimento di fronte ad un’autorità giudicante non è sempre conveniente. Si pensi ai tempi e ai costi che questo richiede e al fatto che il suo esito potrebbe essere incerto (es. quando controparte si trovi nella posizione di poter formulare delle pericolose domande riconvenzionali).
Comporre bonariamente la vertenza, invece, potrebbe evitare di incorrere in queste incombenze, ottenendo comunque un risultato soddisfacente per tutti i soggetti coinvolti.
Con l’accordo transattivo, solitamente, le parti si fanno reciproche concessioni: il titolare dei diritti che si assumono violati ottiene da controparte il pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni e/o rimborso delle spese legali; controparte si obbligherà a cessare la condotta interferente, con il risultato che non verranno intraprese le vie legali. In alternativa, non è escluso che le parti si accordino formalmente per accettare la coesistenza sul mercato dei diritti confliggenti.
Talvolta, addirittura, il titolare ‘condona’ la condotta dell’usurpatore offrendogli di continuare ad utilizzare il segno o l’invenzione o l’informazione riservata contestata, ma in regime contrattuale di licenza, ottenendo così il pagamento di una somma di denaro.
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Alla luce di quanto sopra, occorre ricordare che lo strumento contrattuale, di qualsiasi tipo (es. accordo di riservatezza, due diligence, lettere di intenti, contratto di cessione, licenza, distribuzione, franchising, sponsorship, transazione, coesistenza etc.), potrà assolvere alle sue funzioni di valorizzazione, prevenzione e transazione, soltanto qualora sia redatto in modo completo e conforme alla normativa vigente.
Ogni situazione concreta è un caso a sé e non può essere disciplinata tramite moduli standard che, per loro natura, posseggono una struttura troppo basilare per regolamentare tutti gli aspetti rilevanti.
Si suggerisce, pertanto, di rivolgersi sempre ad esperti in proprietà industriale che, in quanto tali, saranno in grado di predisporre un contratto corredato da tutte le clausole conformi alle esigenze reali.
A tal fine, ricordiamo che il nostro studio di consulenza mette a disposizione della propria clientela un team di esperti legali per la predisposizione di detti accordi negoziali.

© BUGNION S.p.A. – Novembre 2017


[1] L’orientamento maggioritario sostiene le situazioni soggettive, quali il dolo, la colpa, la buona fede di chi usa un marchio o un brevetto senza autorizzazione non hanno rilevanza ai fini dell’azione diretta ad impedire l’usurpazione dei diritti. Questa azione, infatti, avendo carattere reale, ha ad oggetto immediato e diretto la tutela della titolarità esclusiva del bene immateriale destinato al servizio di un’impresa, nei confronti di chiunque ponga in essere un fatto oggettivamente lesivo di quella titolarità, indipendentemente dalla sua buona fede. (cfr. Cass. Civ. Sez. I, Sentenza 20 gennaio – 12 marzo 2014, n. 5722).